Qualche giorno fa ho celebrato il battesimo di una mia prima volta: la mia prima volta in uno stadio. In quaranta (e passa) annate, non avevo mai messo piede dentro uno stadio per assistere ad una partita di calcio: “Un pò di svago non ti fa male! – mi scrive un amico – Sali in macchina e vieni via con me”. Ma che dico! Non ho assistito ad una partita di calcio ma ad una vera e propria celebrazione liturgica: le urla, i fischi, la gente che inveisce, invoca, applaude. Gli alleluja per i propri beniamini, i buuu! per gli avversari: i canti, i cori, le tifoserie degne del Sabato Santo della liturgia. Lo stadio, ai miei occhi di catecumeno, appariva quasi come uno spazio a dir poco sacro, dove quest’unica religione che non conosce l’ateismo, il calcio, stava osannando le sue divinità pagane. Inginocchiandosi di fronte ad esse, giurando loro fedeltà, chiedendo loro la grazia di un batticuore, prestando il loro cuore ai loro divini capricci. Nell’attimo in cui ho alzato gli occhi verso il cielo – un aereo volava così basso da lambire, per un gioco di prospettive, quasi i piloni dello stadio! – ho provato ad immaginarmi che cosa si potesse vedere da lassù se, soltanto, a qualche viaggiatore fosse venuta voglia di gettare giù lo sguardo. Dentro questa fossa in delirio: tempo avrebbe pensato che si stesse svolgendo qualche rito religioso di una importanza capitale. Epica, una sorta di punto di non ritorno di un’epoca storica. Invece si stava sgomitando per una delle partite più feriali, forse, dell’intero campionato: ammesso che ci siano partite feriali e partite festive. Non certo per me che, nell’archivio della mia memoria, la serberò come la prima partita vista dentro uno stadio. Il mio “battesimo” di una fede che non so nemmeno se avrà, poi, un suo seguito: non sempre, dopo il battesimo, si vivono tutti gli altri sacramenti. Questo, da prete, lo so molto bene.

Lì, assiepato nella tribuna con accanto migliaia di fedeli zeppi di passione, di stupore e di pallone, la mia “prima volta” è stata turbata dal goal – non chissà che goal (li paragono sempre a quelli di Roberto Baggio, purtroppo! Ed escono tutti, ovviamente, ridimensionati) – di uno di quei ventidue “sacerdoti” in campo: cross di un compagno dalla sponda, colpo di testa dell’attaccante, l’angolino che si gonfia, lo stadio che esplode: gooooal! In diretta, quasi non mi sono preoccupato di memorizzare l’accaduto, complice il fatto di vederlo davanti a me. Il tempo di lasciarmi contagiare dall’euforia dei compagni di fila, che già i miei occhi erano fissi sul terreno di gioco, in attesa di una moviola che mi permettesse di rivedere quella magia. Invece, zac!: niente moviola! Non ero davanti alla televisione a guardare i servizi sportivi di un TG o di una trasmissione post-partita: ci stavo assistendo dal vivo. E, dal vivo, non esiste la moviola: è tutto, anche maledettamente, in diretta. Mi volto verso i miei amici, sorridendo per non piangere: “Pensa quanto stupido sono – dico loro che, ovviamente, concordano sulla mia stupidità -: e io che pensavo ci fosse la moviola come in televisione!”

Per tutto il tempo rimanente della partita, ho ripensato a questo gap che il cervello mi aveva portato alla superficie: l’illusione di potermi concedere anche il lusso di distrarmi nella mia vita, qualche volta, “tanto, poi, c’è la moviola che me lo farà rivedere”. Al rallentatore, ingigantendo i particolari, sezionando i dettagli”. Invece, nella vita, non esiste la moviola: è tutta diretta, perpetuamente in diretta. Gli attimi, sia che siano maiuscoli sia che siano minuscoli, o li cogli in diretta o li avrai perduti per sempre. In un battibaleno, e tenendo sullo sfondo la partita che continuava, mi si è riaccesa la memoria di tantissimi istanti dei quali non ho dei ricordi nitidi, solamente sfumature, crepuscoli: “Sarebbe bastata un po’ di attenzione in più – mi sono detto – e quelle, magari, sarebbero state le fotografie più belle del mio album dell’esistenza”. Invece non ci ho dato la giusta attenzione, ho pensato che “tanto ci sarà un’altra occasione simile”, che la volta prossima starò più attento. Mi sono distratto nel mentre accadevano. È l’illusione della moviola: di poter rivedere, rivalutare. Invece, il tempo che l’arbitro confermi il goal sul suo taccuino, che già la palla era a centrocampo. Pronta per nuova scorribande.

Di notte, poi, ho immaginato lo stadio vuoto, solitario, taciturno: mi sembrava il mercoledì delle ceneri dopo il martedì grasso. Con me, a centrocampo, che inveivo contro la mancata moviola.

3 risposte

  1. La moviola : grande questa analogia con la vita che corre e va… Ieri sera ho avuto l’ occasione ( persa o meno non lo so ) di piantare qualche semino di Pace tra 2 sorelle e famiglie. Il mio cervello è andato in moviola e, oltre a un sentito abbraccio di saluto ( ero a un funerale) non sono riuscita a dire una parola…( nella mia mente c’ era ) e , si don Marco, verissimo, ci sono rimasta male, molto male , dopo , a ripensare, come davanti a una moviola , alla lotta tra il cervello e il cuore…. Chissà se è stato un bene o un male e chissà se già il mio abbraccio possa essere stato vissuto come un gesto di Pace. E, nello stadio vuoto, ne hai di voglia di gridare… Grazie don Marco!

  2. La moviola… Fa rabbrividire pensarla nella vita quotidiana… Davvero non c’è.. grazie per tutto quello che trasmetti… Benedetto dal Signor… Sempre. Buona giornata don Marco. Ti abbraccio tanto tanto💓

  3. Al contrario di ciò che dice la signora Chiarastella ( che condivido in parte), penso che la”moviola’ nella nostra vita potrebbe aiutarci. Sì.. perché dato che non sempre ammettiamo le nostre colpe e ci accaniamo nel dire che non sbagliamo, rivedendoci non possiamo più negare l’evidenza, e chissà se impariamo a riflettere prima di parlare..agire…e…grazie don Marco buona giornata a tutti💜🙏

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