Articolo scritto per “Avvenire

Avvenire

La “forza della fragilità”: un ossimoro geniale che traduco in sprone nell’anniversario della mia ordinazione. Giovane prete in un mondo che sta voltando pagina. Nell’era di youtube e myspace, di internet, Ipod e msn. Nell’era in cui il mare di Internet confonde quello evangelico di Tiberiade. Tra uomini che al prete chiedono il profumo dell’umanità prima dei dotti ragionamenti. Per essere credente e credibile. Quante sere – mentre pago il pedaggio per il mio cristianesimo creativo – convivo con lo scrupolo di chi vorrebbe essere migliore, di chi è chiamato all’esempio ma capta il bisogno d’agganciarsi pure lui a degli esempi. Di chi sogna la santità. Ai ragazzi che incrocio chiedo loro di non fermarsi alla mia debole giovinezza, ma di “sorpassarmi” se scoprono in me pochezza. In loro scia scoprirò che nessuno è mai arrivato nella vita. Soprattutto a 28 anni. Ma, soprattutto, non avvertirò solitudine in questa competizione “senza ritorno” che si chiama giovinezza.
Pur vivendo un sacerdozio spontaneo e azzardato, non aspiro a coprirlo con la vergogna di chi “muore vivendo sempre e solo per sentito dire” (Ligabue). Aggomitolati di vergogna si può campare e far carriera. Lo scrupolo, disinfettato da una solitudine condivisa, ti svela che la forza di questa scelta sta nella nostra debolezza. Abitata da Dio!

Tutti speriamo in un mondo all’altezza dei nostri sogni. A me basta non vergognarmi di mostrare la mia nudità di uomo agli occhi di un mondo vergognosamente composto.
E senza scrupoli!

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