Elia è un profeta molto importante, nella storia d’Israele: forte della propria fede nel Dio d’Israele, arriva a sfidare i sacerdoti di Baal in una pittoresca “competizione religiosa”, per stabilire quale sia la reale divinità a cui il popolo avrebbe dovuto obbedire (1Re 18). L’inaspettata vittoria (Isaia vince su 450 sacerdoti di Baal) gli consente una vittoria sugli idolatri, che, però, è solo temporanea. Ricevendo sempre meno consenso, fino a rischiare la propria stessa vita, anche nel suo cuore tante certezze vacillano e la paura e l’angoscia si fanno spazio nel suo cuore, fino ad averne il sopravvento.
«Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri» (1Re 19, 4): le parole di Elia, nella Prima Lettura, incarnano i nostri sentimenti di spossatezza, disagio, paura, inadeguatezza, che, talvolta, ci attanagliano, nei momenti più impegnativi della nostra vita. Quando ci è difficile ritrovare la speranza e tendiamo a vedere tutto nero: la fatica ha il sopravvento e ci sentiamo oppressi dagli eventi ed incapaci di reagire. Non sempre, si tratta di una stanchezza prettamente fisica; a volte, si tratta di assaporare la sensazione di essere come prosciugati dalle proprie energie ed incapaci di trovare una fonte per reperirne di nuove: è in queste occasioni, che ci coglie la tentazione di mollare tutto, di andare via, di lasciarci andare, di trovare una scappatoia o una via di fuga, pur di non affrontare i problemi che ci stringono da ogni parte, come in una morsa.
Dio, invece di assecondare la richiesta, per una sorta di malintesa umiltà, si prende cura del suo cuore, fornendogli – con tenerezza – il necessario per non soccombere: un pasto caldo, cucinato con amore. Non sono migliore dei miei padri, dice Elia. In realtà, è ricordato come uno tra i più grandi profeti, tanto che con lui è identificato lo stesso Battista, a sottolinearne la grandezza. Ma non è questo l’importante: anche se fosse vera la sua protesta? Basta per decidere chi sia meritevole di morte o di vita? La vita è forse qualcosa che si debba meritare, come un premio? E in base a quali caratteristiche sarebbe possibile fare questa scelta o “classifica” di chi sia degno (o meno) di vivere?
Attraverso questa prima, breve lettura, tocchiamo con mano una grande verità che dovrebbe accarezzarci il cuore, proprio quando lo scoraggiamento rischia di avere la meglio su di noi.«Tu vali, perché Io ti amo. È il mio amore che ti rende prezioso!» dice Dio, a ciascuno di noi, quando un lutto, un dolore, una contraddizione, una difficoltà rischiano di spezzarci irrimediabilmente.
Di fronte a questa pagina dell’Antico Testamento, risulta quasi inevitabile il richiamo all’Eucaristia, reso esplicito nel Vangelo: «Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6,51).
La celebrazione eucaristica è il fulcro della spiritualità cattolica. In essa, si ri-attualizza il mistero dell’Incarnazione (il memoriale non è solo un ricordo, sbiadito, di quanto espresso durante l’Ultima Cena, bensì, il sacerdote, alter Christus, nella consacrazione, pronunciando le medesime parole di Cristo, ne eredita la medesima efficacia nel ripresentare ai fedeli il corpo ed il Sangue di Cristo). Non basta. In essa, riprende vigore la comunità cattolica: da sempre, essere di Cristo, implica uno stare assieme. Cristo scelse Dodici “perché stessero con lui”. Non specifica capacità, meriti, ministeri o altro, in questa scelta. Solo la necessità di compiere un cammino insieme, una condivisione della vita, per poter comprendere meglio i Suoi, di ministero e di missione.
Così, ancora oggi, ogni celebrazione è un invito a fare comunione, intorno alla mensa eucaristica, con Cristo e coi fratelli, per proseguire nella quotidiana costruzione del Regno di Dio.
(Rif. letture festive ambrosiane, nella IV Domenica dopo il martirio di San Giovanni Battista)
Vedi anche: Da inqualificabile ad incommensurabile. Passando per il pensiero di Dio
Fonte immagine: Father Mulcahy