Un primo ossimoro
Un centurione, che supplica. Già la prima immagine è impegnativa. Pensare che un uomo d’armi possa compiere azioni diverse dal comandare, inveire, esigere. Il nostro centurione no: supplica. È faticoso persino pensarlo? Come avrà supplicato Gesù? In ginocchio? Gli avrà baciato i piedi con venerazione? Il Vangelo, in questo, quasi per rispetto, pare parco di dettagli, che paiono latitare, in questo specifico frangente.
Il dolore che rende eguali
Già dalle prime parole del centurione, diventa chiaro il motivo dell’insolita situazione in cui questi si viene a trovare. Il suo servo è malato. Né la malattia, né il dolore fanno sconti: poveri e ricchi, persone influenti o di scarso rilievo, quando la vita ti tocca in modo doloroso, cambia forse il luogo in cui attraverso tale momento, ma non c’è ricchezza né importanza sociale che siano in grado di garantire l’intangibilità di fronte alla sofferenza. Allora, di fronte al dolore, anche le ginocchia militari si piegano. Testimonianza che, dietro a una servigio cui non è corrisposto denaro, non sempre vi era esclusivamente un carattere di utilità a senso unico. La supplica che il centurione compie dice la disponibilità ad accantonare il proprio ego, pur di rivedere in salute il proprio servo, testimonianza delle mille sfumature che celano anche i rapporti, sulla carta, meno significativi.
“So cosa significa”
Un soldato conosce la gerarchia e l’obbedienza. Sa che basta una parola del comandante a far scattare un’intera truppa di soldati. Comprende quanto possa essere potente una parola, quando è pronunciata da una persona di riguardo, che emana carisma ed autorità. Ha fiducia nella potenza di quella e affida questa situazione che rende vani l’autorità, il valore, il prestigio e il patrimonio del centurione.
“Non volevo disturbarti”
Al contempo, proprio per la fiducia nella parola di Gesù, non pretende che sia lui a seguirlo in casa, che si scomodi. Anche in questa delicatezza risiedono, al contempo, l’estrema fiducia riposta in Gesù, ma, anche il profondo rispetto. Non dà per scontato, non accampa diritti, non reclama attenzione. Ha uno stile dimesso, composto, garbato, gentile, che pare quasi in contrasto con il suo prestigio militare e sociale, in quella terra, Galilea delle Genti, alla periferia dell’Impero Romano, in cui si mescolavano, con alterna fortuna, etnie, popoli e religioni.
Una fede sorprendente
Non risulta di fede ebraica, non si tratta di un correligionario degli apostoli e di Cristo. Eppure, ancora oggi, a secoli di distanza, il suo atteggiamento credente è sinonimo di fede pura e cristallina. Pur non conoscendo di quale religione sia (ma supponendo seguisse quella romana, data rilevanza, anche civile, che aveva per loro), se si tratta del medesimo personaggio, abbiamo però, in Luca, un importante rilievo, cioè che alcuni Giudei incoraggiavano l’intervento di Cristo, sottolineando il rispetto per la religione ebraica[1].
Sempre, come sempre
Al i là dei confini della pratica o della fede religiosa, capita anche oggi. Talvolta, si confeziona un pregiudizio su come dovrebbe essere una persona che dà importanza alla fede. Con il rischio di darne un’immagine un po’ stereotipata e, forse, troppo ottimista. Se, da un lato, la frequenza alla Messa, da sola, non è indice di moralità, allo stesso modo, avere un rapporto conflittuale con la religione o appartenere ad una religione differente non significa partire con una marcia. Credendo nella grazia sacramentale, ma incontrando anche persone meravigliose, che poco o nulla hanno a che fare con la fede, il mio atteggiamento è cambiato. Se prima mi domandavo l’utilità ei sacramenti e, se, forse, non fossi io a sbagliare, con la mia scelta affermativa di fede, ora la domanda è quanto potrebbero fare, di ancora migliore, loro, accedendo alla grazia sacramentale.
Rif. Vangelo festivo ambrosiano (Mt 8, 5-13), nella V domenica dopo l’Epifania
VANGELO Mt 8, 5-13
✠ Lettura del Vangelo secondo Matteo
In quel tempo. Quando il Signore Gesù fu entrato in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». Gli disse: «Verrò e lo guarirò». Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa». Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori, nelle tenebre, dove sarà pianto e stridore di denti». E Gesù disse al centurione: «Va’, avvenga per te come hai creduto». In quell’istante il suo servo fu guarito.
Fonte immagine: Pexels
Tags: vangelo di Matteo, vangelo di Luca, fede, sofferenza, schiavitù, dolore
[1] “Egli merita che tu gli faccia questa grazia, dicevano, 5perché ama il nostro popolo, ed è stato lui a costruirci la sinagoga” (Lc 7, 5)
2 risposte
“L’utilità dei sacramenti”… io mi domandavo come facessi ad imbattermi ugualmente nelle mie fragilità nonostante “l’accesso ai sacramenti”, adesso mi domando con quante altre fragilità dovrei “fai i conti” senza la grazia dei sacramenti.