Illogico far
pendere il destino dell’Eterno su una ragazza analfabeta: a maggior ragione se
la religione di quella tribù attacca le radici sulla Parola. Quella che parla
pure col Silenzio. Un giorno pure puzzerà di ridicolo pescare in alto mare col
sole o intestardirsi ad evangelizzare dove non si scorge traccia d’uomo. Come
stonato riecheggia l’invito d’oggi d’esaltare la croce. Applaudire l’Uomo della
Croce. Addentrarsi nella lezione della Croce. Per il popolo che firma fede
nell’Oriente è festa assai simile alla Pasqua dell’Occidente. E’ festa,
tripudio, solennità. Per una croce. Festa che s’appropinqua strenuamente a
quello "splendore del dimesso" che stregava l’Heidegger filosofo: la passione
per ciò che salpa nudo, vergine e bellissimo dalle mani di Dio. Per correre nel
mondo e lasciarsi riempire. Stranezze e strategie strenuamente difese tra le
righe danzanti dei segmenti sacri dove abita una Parola solo in apparenza
gemella di quella umana. Parola che – s’accetti l’ardire sfrontato d’appostarti
nudo in fronte a Lei – ti fa sentire freddo. Ti prende per i capelli, ti
stramazza a terra, t’accarezza e ti sfiora, t’ingigantisce e ti massacra. Ti
stupisce, t’innervosisce, ti fa sentire le vertigini. T’impoverisce per
ricordarti che sei miliardario.
Che un
giorno volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto è certezza brevettata
nella Scrittura. E apprenderemo che "Dio
non ha mandato suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo" (Gv 3,13-17).
Ne seppe qualcosa il Levi esattore che, dimenticato il banco triste delle casse
iniziò l’avventura delle tavole imbandite. Gli fece compagnia la Maddalena penitente e
pentita, lo strozzino all’anagrafe Zaccheo, il ladrone buono che trafugò pure
il Paradiso con quella sacra furbizia che sboccia sulle sponde della
misericordia.
Perché è ai
margini dei grandi immondiziai ingegnati dall’uomo che Dio – come passatempo di
una vita divina – tesse le fila di risplendenti ricami. Di bellezze prima decomposte
e poi restaurate. Di debolezze che sgretolano l’apparente potenza. Avvertimento
calato dritto dalla Croce è quello di non strimpellare in anticipo la melodia
funebre: dello scolaro impreparato, del bambino scomposto, della madre
insignificante, del padre delinquente. Dell’anziano, dello zingaro, del
rifugiato. Del musulmano, del cristiano, dello stupido. Dell’ignorante, del
prete inesperto, di quello decrepito. Del vescovo e del papa. Di lui, di me, di
te. Dell’altro. Perché non è mai troppo tardi per arruolarsi tra gli operai
dell’ora quinta del celebre pomeriggio evangelico. Gli scolari l’apprendono
sulle tracce dell’Ungaretti poeta: anche i fiumi carsici inaspettatamente
scompaiono. Non lasciano traccia, si fanno ingoiare dalla terra. E il viandante
sonnacchioso li pensa defunti. Riarsi. Spenti. Salvo poi trovarli decine di km
più avanti scorrere con maggior rigoglio, portatori di fresche e chiare acque,
di gorgoglii prima imprevedibili.
"Ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui". Meno male c’è ancora Qualcuno che, appeso alla
croce, non s’arrende. Ma, risorto, trasforma in sfavillante bellezza le ferite
dell’Uomo caduto.
Perché
anche una croce profumi di speranza.