Chiesa di Pasqua: porta bella che immette al tempio di Gerusalemme

Il tempo liturgico post pasquale è segnato dalla lettura degli Atti degli Apostoli, che ci accompagnerà a lungo, nei prossimi giorni.

Pietro e il dialogo interreligioso

Fa sorridere vedere questi primi tentativi di “dialogo interreligioso”, in cui vediamo coinvolto Pietro, che si dimostra ben lungi dal padroneggiare diplomazia e linguaggio politicamente corretto ed inclusivo, cui siamo abituati oggi, per cui mettere, sempre, al primo posto, la pre-occupazione di non offendere altri culti o mancare di rispetto all’altrui libertà. Pensando che, i primi tempi dopo la morte di Cristo, il rapporto con le autorità religiose non è disteso (ma non è neppure sempre ostile, basti pensare a quanto riporta nel capitolo precedente, che avviene proprio mentre Pietro ed altri con lui si stanno recando a Gerusalemme, presso il tempio, per la preghiera delle tre del pomeriggio[1])

Cristo, unica speranza

Pietro non ha dubbi, né tentennamenti: in lui, lo Spirito Santo di Pentecoste non ha agito invano. Le lacrime del Giovedì Santo hanno lasciato il posto al rombo di tuono della confessione di Gesù come Messia:

«Nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi risanato. Questo Gesù è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo. In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati» (At 4,9-11)

Voi lo avete crocifisso, Dio lo ha risuscitato. Nessuna possibilità di fraintendimento. Come si dice: pane al pane, vino al vino. La morte di Gesù non è stata uno scherzo, una finta, un’apparenza come vorrebbero i docetisti[2]. Né la resurrezione è frutto di un gioco di prestigio o di una sostituzione di persona. Solo l’intervento della potenza di Dio può spiegarlo. Ecco perché il suo nome è in grado di restituire la vita o compiere altri miracoli. Non è solo un maestro di Sacra Scrittura o una guida spirituale che indirizzi in una pratica morale. Del resto, tanti insegnamenti non sono poi così lontani da quei logoi spermatikoi di cui parla Giustino[3], per cui non solo in altre dottrine religiose, ma anche nella sapienza umana è possibile rinvenire similitudini con la dottrina evangelica. Ma solo Cristo è il Figlio di Dio in cui la Parola di Dio è uscita dalla carta e, incarnatasi, si è fatta viva e tangibile.Non solo duemila anni fa. Ancora oggi. L’ha promesso lui, la cui Parola è Verità: “sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).

Obbedienza

«Se sia giusto dinanzi a Dio obbedire a voi invece che a Dio, giudicatelo voi. Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (At 4,19-20)

Abbiamo dell’obbedienza una concezione un po’ distorta: come se chi obbedisse fosse una persona succube ed un po’ smidollata, incapace di manifestare una propria autonomia di pensiero e d’organizzazione personale della propria vita.. Obbedire deriva da ob-audire, che significa ascoltare, stando di fronte. Già in quella preposizione manifesta, quindi, la piena dignità di chi sceglie di obbedire. L’obbedienza non preclude, quindi, la scelta personale, ma ne è all’origine. L’obbedienza si dà a chi si dimostra affidabile. Come evidenzia il seguito, la scelta dell’obbedienza a Dio deriva da “quello che abbiamo visto e ascoltato”. È un dettaglio rilevante. È un’opzione irrinunciabile. Dio o gli uomini. Le sollecitazioni ci saranno sempre. Non possiamo dire sempre di no. A qualcosa è necessario dire di sì. La preferenza a Dio è sempre una scelta e non mai priva di un costo. Non per questo, però, è incapace di offrire gioia a chi la compia.

Il riferimento

Ma cosa si riferisce quando parla di “ beneficio recato a un uomo infermo”? A quanto accaduto poco prima nel testo, che occupa quasi l’intero capitolo 3. Uno storpio, conosciuto da tutti, in quanto stazionava nei pressi della Porta Bella del Tempio, era stato guarito. Di questo chiedevano conto ai discepoli di Gesù, a nome dei quali prende la parola Pietro per tutti, consapevole della responsabilità che richiede il ruolo assegnatogli da Cristo.

La chiesa multiforme: Pietro e Giovanni

Da subito, si chiarisce come vi sia una coppia che procede, che è protagonista rispetto al resto del gruppo di persone presenti. Pietro e Giovanni. L’autorità e il carisma, l’istituzione e la mistica. Lungo la stessa strada, imprescindibilmente insieme. Perché non è possibile dividere l’uno dall’altro. Lo sguardo a volo d’uccello, la speculazione sopraffina di Giovanni vede più in là, ma, forse, per quel che riguarda le faccende terrene, le sue ali sono solo un ingombro, come quelle dell’albatros – poeta di Charles Baudelaire. Ecco perché c’è bisogno anche di Pietro.

Lo sguardo sulla sofferenza

«Fissando lo sguardo su di lui» (3,4)

La chiesa si pone, sin dagli albori, sulle orme del Maestro. Tant’è vero che questo sguardo che si fissa richiama, senz’altro, alla memoria un famoso episodio evangelico: quello del giovane ricco[4]. Lì, vediamo un giovane abituato a “fare le cose per bene”, che, però, forse, non aveva mai ricevuto uno sguardo che lo toccasse davvero, abituato ad essere schiavo dei “buoni risultati” da presentare, in una sorta di sindrome da bravo bambino non del tutto affrontata. Qui, un uomo, ormai noto a tutti, ma per un dettaglio che sovrastava ogni altra cosa. “Lo zoppo della porta bella”. Probabilmente, così si ricordavano di lui. Un intruso nell’estetica del tempio. Un corpo estraneo, probabilmente così lo facevano sentire. Lo Spirito Santo ha lavorato su Pietro, “insegnandogli ogni cosa e ricordandogli tutto ciò che il Maestro aveva detto”[5].

Un incrocio di sguardi

Non basta, però, ricevere, uno sguardo diverso, dopo aver passato tanto tempo ad essere identificato (e ridotto) solo con un dettaglio, pur vero e presente, di sé. La grazia non si impone mai dall’alto, ma richiede sempre un incontro. Pietro lo sa. È ancora cocente l’incrocio di sguardi che ha segnato la Pasqua appena passata[6]. Ricerca, poi, uno sguardo di ritorno:

Allora, fissando lo sguardo su di lui, Pietro insieme a Giovanni disse: “Guarda verso di noi”. Ed egli si volse a guardarli, sperando di ricevere da loro qualche cosa (At 3,4-5).

Riceve uno sguardo, ch’è un malinteso. Vorrebbe qualcosa. Qualche denaro. Riceverà di più. Una guarigione, con una mano che lo aiuti a rialzarsi. Perché così agisce la grazia di Dio: sovrabbonda, leggendo, oltre le nostre richieste espresse, le nostre necessità più ineffabili.

Nel nome di Cristo

Pietro è ormai “ravveduto” e “conferma nella fede i suoi fratelli”  (Lc 22,32); ma, con lo Spirito Santo, ritrova anche un maggior equilibrio nelle espressioni ed il nerboruto pescatore di Galilea, che si diceva “pronto ad andare in prigione e alla morte per Cristo” (Lc 22,33), ha compreso di essere strumento nelle mani di Dio e abbassa le aspettative, specificando:

«Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina!» (At 3,6)

Non è magia, non è stregoneria. Non è nemmeno un particolare potere che detiene Pietro o qualcuno dei viri apostolici della cerchia che attornia i discepoli del rabbi di Galilea, anche dopo che questi è morto. L’origine di questa guarigione, chiarisce Pietro nel capitolo quarto, è la stessa della resurrezione di quel Crocifisso a Gerusalemme che aveva fatto parlare di sé.

La Chiesa di Pasqua, un’attualità

La conclusione della liturgia ambrosiana, del resto, prevede proprio questa chiosa, quale risposta al saluto del celebrante “Andiamo in pace”. Quasi a suggellare in Chi avvenga ogni assemblea eucaristica: non è semplicemente il raduno di amici, né di familiari. L’assemblea stessa è parte integrante del mistero del Corpo di Cristo: siamo tutti parte dello stesso corpo, chiamati ad edificare il regno di Dio, ma ciascuno al proprio posto. Uguali in dignità, ma diversi per ruolo, carisma e vocazione e solo se ciascuno valorizza il proprio sé, può nutrire in modo fecondo il Corpo di Cristo, di cui pure fa parte.  


Fonte immagine: Gli scritti, Porta Aurea di Gerusalemme


Rif. Letture festive ambrosiane, II di Pasqua (In albis depositis)
In particolare: Lettura degli Atti degli Apostoli (At 4, 8-24a)

Per approfondire: Bibbiaedu, At 3


[1] At 3,1 attesta, infatti, una certa familiarità nella presenza al tempio della prima comunità di cristiani, che, del resto, non avevano del tutto quella che noi definiremmo “autocoscienza” della propria diversità rispetto alla comunità ebraica. Infatti, anche all’interno di essa vi erano diverse correnti, che potevano differire anche sostanzialmente dal punto di vista dottrinale: un esempio su tutti, i farisei credevano nella resurrezione, ma erano una minoranza all’interno dell’ebraismo. Gli orari della preghiera che, ancora adesso, strutturano la liturgia delle ore, del resto, non ricalcano solo le ore della Passione di Cristo (in particolare, le tre dell’ora media, terza, sesta e nona, corrispondenti alle nove, alle dodici e alle tre del pomeriggio), ma erano, soprattutto, corrispondenti all’orario in cui ci si recava al tempio a pregare, testimoniando il legame ancora saldo degli apostoli il luogo di culto gerosolimitano.


[2] Una delle prime eresie del cristianesimo, che metteva in discussione la realtà della natura umana di Cristo, cfr. Treccani

[3] Apologia, X

[4] “Fissatolo, lo amò” (Mc 10, 21)

[5] Cfr. Gv 14, 23b-26

[6] [1] “Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto: «Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte». E, uscito, pianse amaramente” (Lc 22, 61-62).

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