rebekahLa sua bellezza dev’essere d’un intrigo imperante se un sommo sacerdote come l’australiano Rupert Murdoch ha deciso che il salvataggio di Rebekah Brooks valeva l’immolazione di un giornale da 2,8 milioni di copie come il News of the World e il licenziamento di oltre 200 giornalisti. Rossa e vincente la bella Rebekah, ma sopratutto ingraziata col suo magnate, se è stata l’unica a non soccombere sotto uno scandalo che ha raggiunto la porta del primo ministro David Cameron. S’è salvata con una giustificazione degna dei migliori libri di John Beer (quello de “La classe fa la ola mentre spiego”): all’epoca dei fatti “ero in vacanza, non ne sapevo nulla”. I fatti sono quisquilie per chi al potere ha deciso di arrivarci con tutti i mezzi: spiavano e intercettavano migliaia di cittadini ignari, rubando messaggi e conversazioni dai cellulari, persino dei militari morti in zone di guerra: oltre il danno, sulla loro memoria pende pure la beffa. Dove trova la forza Rebekah di resistere imperterrita mentre l’impero del suo faraone sembra sgretolarsi anche per la sua irresponsabilità?
C’hanno sempre insegnato che per natura la donna è ancor più incline alla sopravvivenza rispetto all’uomo: il mondo animale stesso racconta lotte feroci pur di salvaguardare la prole da parte delle femmine nei branchi. Stavolta una donna è passata sopra la responsabilità di lasciare duecento persone sul lastrico per una sua disattenzione (siamo insegui a crederla tale anche se non è). D’altronde, come ha sottolineato il magnate australiano in puro stile anglosassone, non se l’è sentita di lasciare cadere la testa di Rebekah sotto il bus. Quella di duecento altri giornalisti invece sì: d’altronde a questo mondo c’è gente che vale, gente che non vale, gente destinata all’immolazione per l’altrui salvezza. Se questa è l’etica dell’informazione, allora mai titolo fu più azzeccato: “Thank you and goodbye”. Grazie che le saracinesche si sono abbassate su questo modo di fare informazione.
Il verbo informare ha un qualcosa di etimologico che l’avvicina alla dimensione dietetica: in-formare significa “tenere in forma”. Il corpo si tiene in forma con l’esercizio fisico, l’anima s’allena con gli esercizi spirituali ma anche il pensiero ha bisogno di tenersi in-forma per non far diventare la cultura una semplice discussione da gossip. Oggi che l’informazione si sta sbriciolando, sotto il martellante incalzare di notizie in tempo reale, e i giornali in versione cartacea sono costretti sempre ad arrivare qualche ora in ritardo rispetto all’accaduto, la tentazione di osare oltre il lecito è sempre dietro l’angolo. Eppure c’è anche una fetta di uomini e donne che sentirebbero il bisogno di un’informazione intellettualmente onesta, culturalmente elevata e spiritualmente accattivante. La storia racconta che in tempi di crisi è sempre sorto all’improvviso un qualcuno o un qualcosa che dirigesse meglio la traiettoria delle situazioni: la speranza è che anche da questo fatto triste ci sia qualche donna che non accetta la lezione impartita dalla Brooks, ma che, per salvaguardare la specie dell’informazione, abbia il coraggio di rischiare qualche intuizione controcorrente. Noi crediamo che siano le donne a custodire la vita fino al ritorno di Dio: certe donne ogni giorno ne sono l’esempio più sublime.
Sono queste le donne che candidiamo a Direttrici della speranza, quella che passa anche attraverso un’informazione etica, rispettosa e intellettualmente valida.

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