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Si susseguono nuove tecniche cliniche, chimiche, nonché chirurgiche che promettono di riempire rughe e segni del tempo, rassodare glutei, limare pance. In una parola: garantiscono giovinezza sempiterna e perfezione estetica, a chiunque ne faccia uso.
Un paradiso in terra, al costo di un adeguato compenso, beninteso. Ma davvero abbiamo bisogno di questa perfezione? Un volto perfettamente levigato oppure un mobile appena acquistato si espongono all’eventualità di essere muti, di non dire nulla a chi li osserva: troppa perfezione tende a non essere comunicativa, non toccare oltre le corde più superficiali di un’estetica stereotipata.
L’imperfezione, al contrario, possiede un fascino che rischia di rimanere del tutto estraneo a chi ricerca linearità od impeccabilità. Ogni ruga, ferita, cicatrice, crepa nascondono una storia da raccontare. Di sofferenza, abbandono, dolore, ma anche del successivo dipanarsi della resilienza, di una costanza rinnovata, della volontà di riscatto.
Un volto perfetto, una casa impeccabile non rischiano forse di rimanere anonimi e muti, nei confronti di chi si pone innanzi ad essi?
Alle volte, specie coi figli o con i nostri cari, maturiamo una sorta di pessimismo eroico. Convinti che non possano sopportare una delusione, siamo portati ad evitare loro qualunque insoddisfazione od esperienza negativa. Al costo, se necessario, di prenderle sulle nostre spalle. Invece, forse, è altrettanto foriera di speranza e di positività l’esperienza che esiste anche il negativo. Ma, affrontato insieme, può trovare il proprio significato.

Bellezza è anche – forse, soprattutto – condividere un’esperienza, nel bene e nel male: magari anche un panzerotto non particolarmente gustoso, un sugo un po’ troppo piccante oppure una buonissima pizza fatta in casa, un impegno di lavoro non previsto che scombussola tutte le precedenti pianificazioni, in una casa con qualche dito di polvere sopra ai mobili, ma i cui abitanti sanno dispensare accoglienza e sorrisi e farti sentire più a casa che a casa tua.
Bellezza si rivela persino la condivisione di tempo di qualità, nonostante la stanchezza, lo stress, le giornate caotiche. Perché, se si vuole, si trova sempre un modo di abitare il tempo del quotidiano, della ferialità, prestando attenzione più alle persone che alle cose. E, allora, ecco che tutto assume nuovi contorni e nuove possibilità. Apparentemente, sembra profilarsi una delusione, dovuta al non aver potuto far fronte alla pianificazione precedentemente effettuata, anche solo per il dispiacere di non aver potuto fare di più. Tuttavia, adeguando le proprie richieste alla realtà, ci si accorge di non voler cambiare proprio nulla. Perché, paradossalmente, esiste una sorta di perfezione nell’imperfezione, che è costituita proprio dalla realtà costruita sull’oggi del qui ed ora, delle possibilità effettive e non idealizzate: che prende forma nella ferialità quotidiana. Quella che fa riscoprire la vitale importanza di un sorriso, di una parola rispettosa e grata, della delicatezza di quelle piccole attenzioni che sanno rendere migliore la tua giornata. E che ciascuno di noi può mettere in pratica, per poter rendere migliori le altrui.
Bellezza è, più di tutti, fare un passo indietro di fronte all’altrui diversità, perfino quando essa diventa fastidiosa, perché, guardandola ad una certa distanza, possa risultare chiaro che essa è – sempre! – innanzitutto una ricchezza. Espressione di creatività e fantasia. Perché, dietro ogni diversità, c’è un cuore che batte, anche se magari ad un ritmo differente dal mio; un animo che si entusiasma, anche se per passioni altre. Ma, ugualmente, due occhi capaci di brillare quando si sente apprezzato, semplicemente per quello che è. Senza dover giustificare nulla del proprio essere se stesso, di fronte al mondo!
Talvolta siamo tanto affascinati dalle novità da dimenticare cosa conti davvero. Ci viene in soccorso il Vangelo: “ogni scriba, divenuto discepolo del Regno dei Cieli è simile ad un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche” (Mt 13,52). L’armonia non è mai monotonia, ma – sempre – polifonia di accordi, che danno luce gli uni agli altri, proprio in nome della reciproca differenza.

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