Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

Foresta

Cosa vuol dire fare del bene?
A volte si pensa che fare del bene sia difficile, complicato, quasi impossibile; un’operazione matematica dalle mille incognite. Eppure è così semplice, il suo segreto svelato dalle parole di San Giovanni: “chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha”. E così è stato per la dottoressa Rita Fossaceca, un costante e semplice donare se stessa al prossimo; un amore fatto di sveglie all’alba per andare al lavoro presso l’ambulatorio di Mijomboni, in Kenya, di partite al pallone, di una tazza di latte insieme ai bambini orfani di cui si occupava, di una parola dolce, di un sorriso a chi ne aveva il bisogno scritto negli occhi; un bene semplice, un Amore immenso.
La semplicità di Rita traspare nel diario su cui era solita annotare i pensieri della giornata: un condizionatore nuovo da acquistare, il buon lavoro di Amon e Nelson, la mucca che presto darà alla luce un agnellino, la necessità di vestiti per Abdallah che sta crescendo e i bambini contenti… Dove è scritto che la felicità dipenda da quanto possiedi? Joseph Addison diceva che ” I tre grandi elementi essenziali alla felicità in questa vita sono qualcosa da fare, qualcosa da amare, e qualcosa da sperare”; questa era Rita: una Donna operosa nella carità, innamorata di qualunque bisognoso le chiedesse aiuto, piena di fiducia in un domani migliore per la cui realizzazione non ha mai smesso di rimboccarsi le maniche, fin dal principio.
Originaria di Trivento (Campobasso), Rita Fossaceca si è impegnata per tutta la sua vita nel cercare di realizzare il proprio sogno: lavorare a Novara, per la onlus ForLife Onlus, e poi partire alla volta dell’Africa per compiere la sua missione: donare il suo mantello in più a chi non ne aveva neanche uno. Una vita per diventare come Rita Fossaceca: studiare, sudare, laurearsi, dedicarsi a bambini rimasti soli con l’amore di una madre. E un gesto, uno soltanto, per interrompere tutto questo: un dito assassino premuto sul grilletto di una pistola omicida; e sangue innocente versato sulla terra, su quella terra amata e per cui Rita ha dato la propria vita, sino alla fine.
E’ successo tutto all’improvviso. Alcuni uomini hanno fatto irruzione nella casa dove Rita abitava con altre persone, armati; la dottoressa, nel tentativo di proteggere la madre minacciata da un machete, ha subito un colpo di pistola alla testa, lasciando così i bambini dell’orfanotrofio più orfani di quanto già non fossero.
A noi non resta che assistere sgomenti a questo scempio, impotenti di fronte a tanta brutalità, davanti ad un male così orribile, sanguinario e senza pietà; un colpo durato una frazione di secondo sufficiente a spezzare una forza di bene cresciuta negli anni; lo sconforto assale vedendo quanto “semplice” sia anche fare del male… Quanta pazienza per creare una realtà come quella di Mijomboni, quanta fatica, anche solo per comprare una mucca, quanto tempo per insegnare a dei bambini orfani la bellezza della vita… E poi uno sparo, e tutto finisce; o forse no, forse neanche la potenza brutale di quel proiettile ha fermato Rita; neanche quando il suo cuore si è fermato Rita ha smesso di vivere: perché lei è nei condizionatori nuovi, nel vitellino che sta per nascere, nelle vite che ha salvato,nei sorrisi dei bambini e negli occhi felici di tutte quelle persone che da lei hanno ricevuto uno sguardo pieno di semplice Amore.
Il bene agisce così, semplicemente; come la gravidanza richiede nove mesi, e poi servono ancora anni di maturazione, un percorso lento, costellato di fatiche, per portare quel bambino ad essere un Uomo, così il bene necessita di tempo per crescere e raggiungere il proprio compimento. Il male, invece, è rapidissimo; la morte può interrompere il lungo processo della vita in pochi istanti, una vita che, però, dopo ogni dramma, è capace di riprendersi, una vita che dopo la perdita di Rita andrà avanti per i bambini che non per sua volontà ha lasciato e che si rallegreranno alla nascita del vitellino che la dottoressa annunciava nel suo diario; perché il bene è tenace, è fatto di cose semplici, che silenziosamente si fanno strada; e come la foresta continua a crescere nell’anonimato dopo che un albero secolare è stato abbattuto con gran fragore, così il bene avanza, lento, paziente, ostinato, sempre.


Link di riferimento:

Repubblica

La Stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy