FILE - In this Sunday, April 22, 2018 file photo, priests pray during a ceremony in St. Peter

Due (nuovi) preti entreranno oggi a far parte del presbiterio della Chiesa di Padova: a Luca Gottardo ed Eros Bonetto, nel giro di boa dell’eucaristia, verrà cucito addosso il titolo “don”: dice segregazione per Dio, per i suoi scopi, più un complemento di appartenenza che un complimento per la comodità scelta. Da stasera, senza accorgersene, il loro vissuto sarà impastato di povertà, castità e obbedienza: robe da cappottarsi per le vertigini, una scalata di sesto-grado. Lo sanno per averlo studiato negli anni del seminario, lo avvertiranno appena la teoria – è sempre solida la teoria – affronterà la realtà. La realtà del quotidiano.
“Due” è un numero risicatissimo: sta appena sopra lo zero, è nettamente sotto il tre. E’ una numerazione che toglie il sonno, complica le previsioni future, fa annaspare i sogni di gloria di ciò che rimane di Padova “sacristia d’Italia”. Un poco ancora e raschiamo il fondo della numerazione: lo zero-ordinazioni non è lungi dall’arrivare. Quando arriverà sarà un po’ come accorgersi che si è tirato troppo la corda: mentre sono in vita le vacche grasse, pochi si curano di pensare alla generazione seguente. Fatto è che mungere le grasse è molto più semplice che mettere in cantiere una politica demografica che favorisca nuove nascite. Nessuno può vantare di possedere ricette magiche per aumentare le vocazioni: quella del prete è una storiaccia d’amore che fila come tutte le storie d’amore. Nessuna forzatura, dunque: è un colpo di fulmine, un’attrazione, un batticuore. Certamente le condizioni nelle quali lavorare questa storia sono importanti: i seminari nascono per questo, l’ambaradan intellettuale, pastorale, spirituale è l’equipaggiamento che, strada facendo, farà da scudo e vestito a questa storia tutta particolare. Eppure sembra non bastare se, alla fine, sempre meno giovani si arrischiano in quest’avventura: qualcosa si è rotto, forse si è assopita la testimonianza di noi preti, sembra quasi che, guardandoci, non si ridesti più quel felice sospetto ch’è la vera cagione della chiamata: “Guarda come è felice quell’uomo: come vorrei assomigliargli”. Il celibato gioca sì la sua parte: è una faticaccia da calcolare bene e, pur calcolandola, sfora sempre il preventivo. Lo sforzo, però, è di tutt’altra specie: capire che cosa significa essere prete oggi, in questo frangente di secolo, in questa Chiesa “francescana”, in questa diocesi.
Gioco (non tanto) d’azzardo. E se stessimo contemplando in diretta al più grande dei capolavori di Satana? Se qualcuno è convinto che il sogno di Satana – sono uno dei preti che crede alla sua esistenza tanto quanto crede a quella di Dio, soltanto che Dio lo amo mentre Satana lo schifo – sia quello di corrompere i preti, buonanotte! La grande manovra di Satana è fare in modo che più nessun diventi prete. E’ uno stratega impareggiabile: sa bene che un prete, pur corrotto, richiama pur sempre l’immagine di Dio. Occorre, dunque, cancellare dalla faccia della terra il prete stesso: “Più nessun prete, velocissimi” raccomanda Satana ai suoi assistenti. Adesso che la ammiriamo in diretta, quest’impresa ci fa alzare le mani. Qualcuno per strapparsi i capelli: anche il non fare scelte è aver scelto. Altri per aiutare le ginocchia a (ri)piegarsi. Cristo, nel nostro frattempo, si contende con Satana gli ultimi cuori rimasti liberi. Lui no che non si darà mai per vinto.

(da Il Mattino di Padova, 5 luglio 2020)

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Dal 3 giugno in tutte le librerie I gabbiani e la rondine (Rizzoli), il nuovo libro di Marco Pozza

La sofferenza, la rinascita, la bellezza nella Via Crucis che ha commosso il mondo.
Roma, 10 aprile 2020, Venerdì Santo. Nel pieno della pandemia, la Via Crucis celebrata dal Papa non si svolge in mezzo alla folla, nel Colosseo, ma nella piazza San Pietro deserta, sotto lo sguardo dell’antico crocifisso della chiesa di San Marcello al Corso. Le parole che risuonano nella notte della morte e del dolore provengono dalla parrocchia del carcere di Padova: a meditare sulle quattordici stazioni della Passione di Cristo è un’intera comunità di uomini e donne che abita e lavora in questo mondo ristretto. “Mi sono commosso” ha scritto Papa Francesco. “Mi sono sentito molto partecipe di questa storia, mi sono sentito fratello di chi ha sbagliato e di chi accetta di mettersi accanto a loro per riprendere la risalita della scarpata.” In questo libro, partendo dalle meditazioni sulla Via Crucis raccolte e scritte insieme alla giornalista e volontaria Tatiana Mario, don Marco Pozza ha costruito un racconto sulla fede e la risurrezione dei viventi: la Via Crucis di Gesù diventa così una Via Lucis degli uomini, la cui sofferenza è stata riscattata da Cristo in persona. “Mai celebrata una Via Crucis così” scrive l’autore. “Pareva davvero d’attraversare l’Odio desiderando l’Amore.”
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