È la prima parola che la letteratura d’Occidente pronuncia: «L’ira funesta del Pelìde Achille, che infiniti lutti addusse agli Achei, cantami, o diva!» Nessuna parola prima dell’ira, un’iradiddìo di parole (in rima) appena dopo: inizia così l’Iliade, la gloria di Omero, la storia stessa dell’Occidente. Inizia dall’ira, quella che non manca mai di ragioni ma raramente ne ha una buona da spendere. Vuoi la prova? Prendi un recipiente e riempilo dell’acido chiamato ira: t’accorgerai presto che causerà più danni al recipiente che lo contiene piuttosto che a qualsiasi altra cosa su cui venga versato. Ne è prova il fatto che, nell’istante dell’ira, si dicono cose così tremende che poi si nega di averle pronunciate: troppo grande è l’umiliazione di doverle smentire e chiedere scusa. Magari non c’era nessuna cattiveria all’inizio: è che quando il sangue affluisce al cervello e si comincia a tremare, in un attimo si annullano giorni e giorni di meditazioni. Giorni e giorni di buoni propositi, dei propositi più belli, anche onestissimi: basterà una piccolissima inezia per far scatenare la rabbia. Benvenuta, ira: il collo che si va a gonfiare, lo sguardo che lampeggia, la voce che si fa di raucedine. Cuore serrato, respiro difficile: “Ha un che di diabolico nel volto quell’uomo, quella donna!” diciamo. Non abbiamo visto male!
La filosofia, nella persona di Aristotele, consiglia di arrabbiarsi con la persona giusta, nella misura giusta, alla maniera giusta, nel momento giusto. Per una giusta causa, oltretutto: dimostrare la propria collera al nemico, infatti, è ammettere d’avergli già offerto la vittoria su un piatto d’argento, posta sotto gli occhi. Il contrario diventerà un’occasione per misurare quant’è vasto l’animo nostro: la statura di un uomo, infatti, si misura dalla statura delle cose che lo fanno arrabbiare. Senza che l’arrabbiatura, però, diventi irosa. Si trasformi in ira dato che – continua altrove il buon Omero – «facili all’ira sopra la terra siamo noi di stirpe umana». Nessuno esigerà una moderazione impossibile da riscontrarsi in natura: la rabbia potrà anche nutrirsi di noi per un’ora, due, mezza giornata. Non giacere per l’intera notte, però, perché la continuazione della rabbia è l’odio e la continuazione dell’odio è la cattiveria. Resta l’ultima speranza, la più piccola, dunque la più agguerrita: che la rabbia diventi un fuoco che cucina anziché un fuoco che brucia.
“Ti presento la temperanza!” dice Giotto, con il pennello in mano, mentre staziona dalla parte opposta, per affrescare l’avversario dell’ira: “Se vuoi smettere di bere, osserva da sobrio il comportamento di un ubriaco” confida a sé medesimo, per poi bisbigliarlo ai suoi ammiratori. “Il (mio) contrario dell’ira, è la temperanza”. È la base stessa della parola eleganza. È in buona compagnia, il pittore di Firenze: «È bene, nella vita come ad un banchetto, non alzarsi né assetati né ubriachi»: è il saggio Aristotele a dargli man forte. Perché non perdere il senso della misura sovente è cagione, anche motivazione, di vittoria netta sull’ira: “Ho reagito così, d’impeto: bastava aspettare che calasse la rabbia, e si sarebbe evitata questa matta mattanza” dice sovente l’uomo che, in preda all’ira, rimpiange la misura: chissà come sarà il mondo quando si estinguerà la sobrietà! Anche le virtù, quando non le si esercita con moderazione, senza misura, corrono il rischio di mutarsi in vizi: di tutte le manifestazioni del potere, quella che impressiona di più l’uomo è la moderatezza. È difficile? «Se vuoi essere felice – scrive Elias Canetti – non andare sempre fino in fondo. C’è tanto anche in mezzo». Pare semplice, magari lo è: non c’è virtù, a conti fatti, senza moderazione. Eccola la temperanza.
Collego la temperanza, per un vizio di gola, alle noccioline: non mi sono mai trovato così coraggioso come quando riesco a fermarmi dopo aver mangiato una sola nocciolina, lasciando tutte le altre dentro il sacchetto. Nessun impero violento è mai durato a lungo: è solo quello moderato che resiste nel tempo. Che poi, però, è da dirsi anche questo: che la moderazione nel carattere è sempre una virtù, la moderazione nei princìpi è quasi sempre l’inizio del vizio. E tutto ciò ch’era perfettamente chiaro si (ri)complica.
La Quaresima con Giotto
I^ giovedì, L’ingiustizia e la giustizia, 18 febbraio 2021
II^ giovedì, L’incostanza e la fortezza, 25 febbraio 2021