La cosa è alquanto buffa, per non dire stupida: la persona invidiosa pensa che se il suo vicino si rompe una gamba, lui sarà in grado di camminare meglio. E questo per un semplice fatto: perchè l’invidia che lo sciocco prova per l’uomo brillante trova sempre conforto nell’idea che l’uomo brillante farà una brutta fine. Se l’invidia, e assieme ad essa la gelosia ch’è la sorella gemella-siamese, fosse un lavoro, nel mondo non esisterebbe la disoccupazione. Nella Chiesa, poi, non ci sarebbe nessun prete con le mani in mano (purtroppo). Giotto, dipingendola, ha dato sfogo al peggio che c’era nella sua fantasia, alla parte lurida della sua immaginazione creativa: è un essere che si sta autobruciando come fosse un suicida, ha una serpe che le scodinzola dietro la nuca, le spunta da dietro il turbante, le esce dalla bocca per poi infilarsi nell’occhio, accecandola. Guardandola, l’avvisaglia del pittore fiorentino è semplice d’afferrare: “Non invidiate, applaudite e poi fate di meglio (se potete)”. Perchè – e tutti, almeno una volta, siamo stati avvelenati da questa scemenza – l’invidia è come una serpe che rode il cervello e corrompe il cuore: “Non vi lasciate entrare in corpo il serpe dell’invidia!” sembrano gridare, dall’inferno, gli invidiosi, i cui cuori “sono andati in cassazione”: condannati alla pena perpetua del fuoco eterno. Perchè oltre che lurido e velenoso, è pure stupido e misero come viziaccio: è l’unica depravazione che non procura nessun guadagno a chi se la porta in cuore. Di più: è l’autocertificazione evidente dell’impotenza. L’invidia è il cruccio dell’impotenza: «Coloro i quali hanno meno fiducia in se stessi – scrive William Hazlitt – sono i più invidiosi». Incapaci, dunque invidiosi. Falliti in partenza.
Mica facile, però, debellarla: siccome è il più subdolo dei vizi, è la madre di tutti gli altri, per niente semplice da smontare. Che poi, come non bastasse, Dio non solo ha creato gli invidiosi, ma per esagerare ha creato anche quelli convinti d’essere invidiati. Robe da matti! E l’esistenza diventa un circo nel quale s’impara a fare la conta dei colpi di fortuna degli altri anziché dei propri. Nella Chiesa, poi, l’invidia è la morte fatta carne. Capita, tra preti, d’essere maestri nell’invitare a non provarla e, poi, essere i primi a venirne contagiati. Ad autocontagiarci, per poi contagiare più velocemente le nostre comunità. E Satàn, l’invidioso, ringrazia: ogni qual volta un prete maligna invece che gioire, quando un superiore soffre della gioia di un suo inferiore invece che condividerla, quando due-tre (riuniti nel nome dell’invidia) si trovano per distruggerne un quarto. In nessun ambiente come la Chiesa, l’invidia è pestifera: i carismi vengono sporcati, i talenti sono in stato di assedio, i leader sono guardati di sbieco da chi è nato gregario. E gli ambienti ecclesiali diventano centri di fomentazione dei pettegolezzi, le riunioni ecclesiali diventano focolai d’invidia, le preghiere sono invalidate da litanie di maldicenze. Perchè, porco Satàn, se uno ce la fa, dev’esserci sempre un che di sporco, di nebuloso, di losco. Con una finale suicida: piuttosto che dirti bravo, accetto di soffrire come una bestia. D rodermi il fegato, fino ad ammalarmi. E’ la chiesa minuscola, sempre più inascoltata perchè (in)credibile. Predica e razzola diverso.
A brillare, in piena nebbia, è la carità: mentre l’invidia guarda attraverso un microscopio, la carità contempla tutto col telescopio. Perchè – non si arrabbino i reverendissimi – il cane chiuso nel recinto abbaia forte a quello che scodinzola liberamente. Mica è un’elemosina la carità: è una presenza. Non basta il dare, è necessario il darsi. Ecco perchè soltanto le anime grandi conoscono ciò che c’è di grande nella carità; e l’uomo non è mai vicino agli dei come quando compie del bene al prossimo. E’ l’unico estremismo ammesso quello della carità, direbbe Papa Francesco. Perchè sé l’invidia è vedere l’erba del vicino sempre più verde della propria, la carità ti infonde il sospetto che quell’erba potrebbe anche essere erba sintetica. Più verde, ma sintetica: dunque tarocca, fasulla, ingannevole. Lotto di giorno e di notte con quest’alternanza di vizio e virtù: il cuore mio è un’arena di avverse tifoserie. La Grazia, con me, fa gli straordinari tutte le sere: “L’invidioso ti loda senza accorgersene” mi bisbiglia tra le Ave del rosario. Me lo dice perchè non reagisca, per farmi disprezzare l’invidia impedendole di poggiarsi sul mio cuscino. Alla porta del mio cuore. Mica facile, però la Grazia è testarda: è la testardaggine di Dio.
La Quaresima con Giotto
I^ giovedì con Giotto, L’ingiustizia e la giustizia, 18 febbraio 2021
II^ giovedì con Giotto, L’incostanza e la fortezza, 25 febbraio 2021
III^ giovedì con Giotto, L’ira e la temperanza, 4 marzo 2021
IV^ giovedì con Giotto, La stoltezza e la prudenza, 11 marzo 2021
V^ giovedì con Giotto, L’infedeltà e la fede, 18 marzo 2021
Dal 2 marzo, in tutte le librerie, Dei vizi e delle virtù (Rizzoli 2021), il nuovo libro di Papa Francesco e Marco Pozza
A Padova, nella Cappella degli Scrovegni, uno dei massimi capolavori dell’arte occidentale, Giotto racconta il percorso della salvezza umana attraverso le storie di Gesù e di Maria sulle pareti e il Giudizio Universale sulla controfacciata. Nel registro inferiore, in bianco e nero quasi fossero formelle in bassorilievo, Giotto dipinge le quattro virtù cardinali e le tre teologali alla destra del Cristo giudice, e alla sinistra sette vizi che delle virtù rappresentano il contraltare. Proprio a queste coppie di opposti – ingiustizia-giustizia, incostanza-fortezza, ira-temperanza, stoltezza-prudenza, infedeltà-fede, gelosia-carità, disperazione-speranza – è dedicata la nuova conversazione tra Papa Francesco e don Marco Pozza. Le virtù sono le strade che conducono alla salvezza, i vizi quelle che finiscono nella perdizione: “Le virtù ti fanno forte, ti spingono avanti, ti aiutano a lottare, a capire gli altri, a essere giusto, equanime. I vizi invece ti abbattono. La virtù è come la vitamina: ti fa crescere, vai avanti. Il vizio è essenzialmente parassitario”. Riflettere su questi temi serve a “capire bene in quale direzione dobbiamo andare, perché sia i vizi sia le virtù entrano nel nostro modo di agire, di pensare, di sentire”. Per questo, ogni capitolo è arricchito da un testo di Papa Francesco che approfondisce un tema del dialogo e da una storia di vita che don Marco Pozza ha ricavato dalla sua esperienza di cappellano del carcere di Padova. Perché nella vita quotidiana vizi e virtù procedono sempre intrecciati, e questo libro è un percorso che ci consente di ripensare insieme il compito, difficile e necessario, del discernimento tra il bene e il male.
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