Il Maestro volava ad altissima quota. I suoi discepoli, più simili ai tacchini che alle aquile, prima della resa tentarono il tutto per tutto, pregandolo d’andare in soccorso: «Accresci in noi la fede». Temevano, forse, che sarebbe bastato poco più di niente per perderla tutta? Non accadrà mai: «Non si perde la fede, essa cessa piuttosto di plasmare la vita» diceva il curato di Bernanos. La paura, dunque, era quella di diventare miele-della-terra, quando il loro Cristo chiedeva di diventare sale: d’apparire insensati nella grande storia degli uomini. Rispose, il Maestro, non rispondendo, com’era abitudine tra di loro, com’è suo stile ancor oggi: «Se aveste fede quanto un granello di senape!» Eco di nostalgie, voglia di cielo, sprone per possibili migliorie: perchè la fede non cessi d’incidere la vita.
E’ tutta una questione di stracci, assicura loro il Rabbì. Io adoro gli stracci, a casa mia pullulano ovunque: mamma li partorisce riciclando vecchie lenzuola, ridando vita ad asciugamani logorati dall’uso, a vecchi grembiuli d’officina di mio papà. Li ho visti sin da bambino tra le cose di casa, tenuti rigorosamente nascosti nella credenza dello sgabuzzino. Mi colpisce la loro gentilezza: li prendi, li usi (a fare i servizi più sporchi), li ributti aggomitolati dentro il cassetto senza aver reso loro il minimo grazie per il servizio svolto. L’indomani, poi, li riprendi e loro, senza un minimo cenno di rivalsa o protesta, sono ancora pronti a farsi usare. Sono l’oggetto più inutile di casa – “Questa camicia è finita. Lasciamela a casa che faccio stracci per l’officina” dice spesso la mamma -, eppure ti fanno fare una bellissima figura agli occhi degli ospiti: si trattengono la polvere, lo sporco, le briciole e a te lasciano gli elogi, l’eleganza, la pulizia. Se gli stracci potessero parlare, ciò che direbbero è facile da immaginare: “La nostra gioia è di non guadagnarci nulla!” Come dare loro torto? Se possiedi una cosa, quella cosa un giorno te la potrebbero rubare. Se, invece, tu una cosa la doni, nessun ladro te la potrà portare via, ma rimarrà di tua proprietà per sempre: «Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare».
Chissà se il Cristo-bambino, nella casa di Nazareth, avrà visto Maria usare gli stracci per asciugare le stoviglie, oppure Giuseppe per pulire lo sgabello dai trucioli di legno. Chissà! Fatto sta che, per parlare del l’arte del servizio, fa salire in cattedra gli stracci e i loro simili: le cose inutili. Che in italiano suona come un’offesa: una cosa è inutile se non serve a nulla, quando non porta guadagno. Nei Vangeli, al contrario, l’inutilità è materia d’altissima finitura, ricercata: dice il non-guadagno, la non-ricchezza, l’aver fatto un gesto senza essersi arricchiti nemmeno di una parola di grazie. “Manco grazie mi ha detto!” dice spesso la gente: alle orecchie del Cristo è sinonimo di gratuità, di disinteresse, di amore cristallino. Di un animo in pace che mai s’aspetterà un ritorno dalle sue azioni: «(Il padrone) – è pragmatico il Cristo dei Vangeli – avrà forse gratitudine verso quel servo perchè ha eseguito gli ordini ricevuti?» Domanda che già contiene anche la sua più esatta risposta.
Come esempio gli stracci di casa mia, dunque, per andare in cielo. Perchè la mia fede rimanga sale e non diventi miele: «Se potrò impedire / a un cuore di spezzarsi / non avrò vissuto invano / Se allevierò il dolore di una vita / o guarirò una pena / o aiuterò un pettirosso caduto/ a rientrare nel nido / non avrò vissuto invano» (E. Dickinson). Se come dicono gli inglesi la verità ha una buona faccia ma indossa stracci, allora nessun uomo è così dritto come quando si china per aiutare un altro, senz’aspettarsi nulla in cambio. Gesta senza prezzo: sono il sovrapprezzo per l’eternità. Ogni volta che prendo in mano uno straccio, penso ai cristiani doc (di origine controllata). E mi prende un grosso sconforto perchè agli stracci, oggi, nessuno pensa più d’andare a chiedere consiglio per arredare una casa. Invece sono loro, a detta di Cristo, l’emblema del vero arredatore d’interni.
(da Il Sussidiario, 5 ottobre 2019)
Post scriptum – Nella mia vita Dio è perfettamente inutile: non ci ha mai guadagnato nulla mettendosi in ginocchio a lavarmi i piedi, continua a rischiare l’inverosimile. A quanto pare adora comportarsi così: “Mi interessa, un giorno, dimostrarti d’avermi guadagnato la tua anima” – mi manda a dire sotto le mentite spoglie di messaggeri di passaggio.
In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!».
Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”» (Lc 7,5-19).