mancini

E’ la parolina magica che ricorre più spesso all’indomani d’una sconfitta, di una debacle qualsiasi. Anche di un evento – ecclesiale, politico, sportivo – che è andato in maniera contraria da come se lo aspettava una maggioranza, o una minoranza. Contraria o, nella maggior parte dei casi, sfavorevole all’interesse di costoro. “Dimissioni! Chiediamo le dimissioni immediate del signor x. Urge che il responsabile consegni le dimissioni al Santo Padre”. Invocare le dimissioni non è chiedere le dimissioni: queste ultime, chi è responsabile ultimo di una qualche istituzione, è nella posizione di chiederle ad un sottoposto: magari per evitare la vergogna di un licenziamento, per accelerare un processo, perchè un qualche avvicendamento possa evitare di trasformarsi in ghigliottina pubblica. Quando a chiederle è un responsabile, le dimissioni son una faccenda: quando, invece, ad invocarle è il popolo, o chi per lui, le dimissioni sono tutt’altra faccenda.
L’ultimo del quale si chiedono le dimissioni è il CT dell’Italia, quel Roberto Mancini che, in piena estate, è stato celebrato come fosse il salvatore del calcio italiano all’indomani dell’Europeo, del suo tabellino di marcia con il quale si sono avvicinati all’Europeo. Si sa, però, che l’uomo ha memoria cortissima quando, per svariati motivi, deve scaricare una qualche frustrazione. Ecco, dunque, che dalle stelle alle stalle il passo è stato brevissimo: è bastata l’ennesima delusione mondiale – nemmeno mondiale, visto che al Mondiale non andremo! – perchè il suo destino cambiasse immediatamente lineamenti: “Dimissioni!” invocano. Lui stesso, trincerato nel suo silenzio, fa capire che ci sta pensando: a queste sante e maledette dimissioni. Resta il fatto che una perpetua serie di dimissioni – che sian invocate, richieste oppure scelte – raramente porta ad inaugurare un trend positivo in qualsiasi settore. La dimissione, il più delle volte, è un azzeramento: tutto quello che è stato fatto prima, tutti coloro che si son resi protagonisti prima di un qualcosa di buono, tutto il passato vien bollato come carta straccia, tempo perso. Senz’accorgersi che, reiniziando sempre da zero, difficilmente si arriva a mettere le fondamenta di qualcosa di duraturo. Sarebbe come se un designer di luci d’arredo, non riconoscendo la grandezza di Thomas Edison, pretendesse di ripartire completamente da zero, volendo reinventare la prima lampadina della storia. Apparirebbe ridicolo: ognuno di noi, ogni nuova scoperta, non parte mai da un punto zero, ma è sempre la continuazione di un qualcosa che altri, prima di noi, han contribuito a portare fino a lì. Fino al punto in cui, poi, partiamo noi.
La soluzione delle dimissioni è una burla, una sorta di “cambiamo tutto per far in modo che non cambi nulla”: la storia d’Italia è piena di tentativi di cambiare il nome alle cose – non più “celle” ma “camere di pernottamento”, per esempio – illudendosi che cambi anche il contenuto. Un CT, per quanto lungimirante sia, lavora con il materiale che ha a disposizione, con la disponibilità che trova. Non sempre, poi, si può allenare con un Baggio a disposizione: “Ognuno fa il fuoco con la legna che ha” mi diceva spesso il nonno, per insegnarmi a calcolar bene le forze prima d’imbattermi in qualche avventura col rischio d’impantanarmi. Per restare in tema, anche solo simbolico: a che servirà il “sacrificio” sportivo di Mancini se non a far ripartire il toto-scommesse di chi sarà il prossimo? Forse è più nobile rispettare un contratto, proseguire un cammino percorso, non gettare tutto alle ortiche per una notte più rivelatrice che maledetta: c’ha mostrato in che stato si trovi il nostro calcio, al netto di una magia estiva. Più che di fughe, forse c’è bisogno di gente che rimanga, soprattutto in quest’Italia dove si fa una fatica cane a ragionare a mente fredda sulle sconfitte, preferendo affidarsi alla lotteria dei risentimenti. Dappertutto, in casi così, l’eroismo è restare al vento: altrimenti siamo come quelli che danno l’ombrello quando c’è il sole e lo ritirano appena inizia a piovere. Una sconfitta, coperta dalle dimissioni, è un’occasione persa.

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