padre e figlio tramonto

Padri, i grandi assenti, sembrano ormai concordi tutti i più grandi esperti, al riguardo. Del resto, tra fecondazione assistita e famiglie che si sgretolano, l’esistenza del loro stesso ruolo è costantemente messa in discussione. Davvero è un ruolo imprescindibile? Davvero bisogna recuperare questa famosa, o, forse, famigerata “figura del padre”?

A mio personale avviso direi sì a tutte, in modo incondizionato, nonostante tutti i se e tutti i ma possibili, immaginabili, esistiti, esistenti o che potranno esistere in un futuro prossimo.
Senz’altro non tutti i genitori sono anche padri, perché è vero che non basta generare un figlio nella carne per potersi definire tale, ma è anche da aggiungere che non tutti i padri sono genitori.
Tuttavia, un padre, per un figlio, è sempre ed in ogni caso, una persona imprescindibile. Cercherò di spiegarmi meglio.
Chiunque ha un figlio diventa padre, per gli effetti legali e penali che ciò comporta. Qualcuno diventa genitore, ma, rifiutandosi di riconoscere il figlio, non diventa padre, almeno a livello legale e giuridico, in quanto rinuncia (oppure non può scegliere di avere, come accade, ad esempio, nel caso di una donna che decida di abortire, all’oscuro del partner e addirittura del marito: opzione perfettamente legale e sancita per legge) alla patria potestà sul figlio. Ovunque c’è un figlio, tuttavia, occulto o conclamato, c’è di necessità un padre, che ne sia consapevole oppure no.
Il figlio ne sarà per forza consapevole, in ogni caso. Nella situazione più tranquilla, sarà la persona che accompagnerà la mamma in ospedale, che lo prenderà in braccio, che si prenderà cura di lui in vece della madre, nelle mansioni che gli è possibile svolgere (in genere, l’allattamento gli è precluso, tutto il resto dipende unicamente dalla sua volontà di cura nei confronti del pargolo). È colui che non si sveglierà nel cuore della notte, perché non è in grado di percepire il suo pianto disperato e, tendenzialmente, eviterà con cura, finché possibile di cambiare i pannolini. Tuttavia, sarà in prima fila se si tratta di organizzare un gioco oppure mangiare qualcosa di contrario alla dieta più salutare, solitamente proposta dalla mamma.
Anche nel caso in cui questo non sarà la quotidianità del bimbo, questi cercherà una figura del genere, soprattutto durante l’adolescenza, Una figura, insieme, di riferimento e di confronto, talvolta fino al contrasto. Essenziale e imprescindibile per la formazione del proprio sé.
Qui però entra in gioco quella caratteristica. Non è necessario generare figli per essere padri. Tanti possono essere padri, pur senza essere genitori. Possono essere educatori, tutori, insegnanti, a volte persino semplici conoscenze. L’animo umano è misterioso e talvolta l’elezione segue principi che mantengono qualcosa di imperscrutabile, che si rivela mai totalmente comprensibile. In diversi casi, anche in famiglie in cui il padre non è assente, si creano ugualmente figure di “secondi padri” agli occhi dei figli che, specie durante il periodo di maggiore crescita, sono preziosi strumenti per l’autocomprensione ed il confronto, specie in quei nuclei familiari in cui, per un’educazione troppo rigida o troppo lassista, questo processo non è contemplato con la dovuta solerzia.

In tutti i casi, per la necessaria crescita e l’ingresso pieno e completo nell’età adulta, ad un certo punto, si rivelerà improcrastinabile il parricidio (inteso in senso figurato e psicologico, naturalmente): perché il giovane ego dispieghi le ali, trovi il proprio spazio nel mondo e si libri nel cielo, non più avvinto dalle funi delle tradizioni familiari degli avi, questi deve rompere le catene che lo tengono ancorato al suolo. Non sempre questa frattura è particolarmente cruenta o dolorosa, ma sempre richiede di essere consapevole e cercata, perché possa essere davvero il tragitto che porti ad un adulto con piena coscienza di sé, che non è più nel periodo transitorio dell’adolescenza, ma ha completato il proprio processo di maturazione, che si è concluso nell’età adulta.

«A dire il vero, il distacco da don Luciano e dal suo modello di vita sacerdotale era già avvenuto anni prima. Mi sentivo un po’ come un figlio spirituale degenere, ma non potevo rinunciare ad essere me stesso. Per quanto avesse segnato indelebilmente la mia vita, comprendevo di non poter rimanere imprigionato dentro il suo modo di agire e di pensare. Gli ultimi anni di convivenza alla Cappella non erano stati facili: ci siamo ritrovati sempre più distanti, pur sotto lo stesso tetto; i momenti di silenzio, indotti anche dalla sua malattia, sono diventati sempre più frequenti. dentro il silenzio, capivamo di essere diversi in molte cose: idee musicali e liturgiche, visioni di Chiesa, pensieri politici. mi sentivo il figlio ribelle, ma anche quello che stava sempre in casa.
Eppure, oggi, sono contento quando ascolto i cantori più adulti che commentano i miei modi di dirigere durante le prove: “È proprio come il suo maestro! Solo più aggiornato nel lessico!”
(…) Sono contento che ci siano assonanze, perché il mio canto viene sempre dal canto di qualcun altro. Per quanto un’eredità subisca una deviazione, noi siamo innanzitutto le parole di un altro; dipendiamo da esse, ne siamo attraversati. Ecco perché ogni incontro, per quanto legato all’infanzia e limitato nel tempo, è un incontro per sempre,è una storia che continua, dalla quale non puoi prescindere»
(Claudio Burgio, Figli perduti e ritrovati, pagina 153)

Comprendere quanto questo passaggio sia imprescindibile è fondamentale. La sua mancata comprensione rischia di essere causa di rimorsi assolutamente ingiustificati.
Il distacco è necessario. Emotivo, relazionale, ma anche razionale. Poi verrà quello effettivo e concreto.
Ma è necessario rinnegare una parte di sé perché le proprie radici siano davvero salde.
Una nuova vita è – sempre un’altra vita. Non si può vivere nell’emulazione per sempre.
Possono esserci modelli a cui ispirarsi, per più di un aspetto in cui ci si riconosce carenti. Ma non è assolutamente pensabile porsi come obiettivo finale di essere la copia fedele di qualunque altro,. Chiunque sia. Anche fosse la persona migliore del mondo. Nessuna buona intenzione è un alibi sufficiente.

«Diventa l’eco della musica di qualcun altro, l’attore di una parte che non è stata scritta per lui».
(Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray, Capitolo 2)

Difficile ideare una metafora migliore di quella utilizzata da Lord Henry per riuscire nell’intento di spiegare questo concetto. Essere sotto l’influenza di qualcuno è qualcosa di potenzialmente pericoloso, anche se non sempre immorale. Il rischio di annientare la propria volontà è infatti enorme, così come quella di idolatrare qualcuno che è semplicemente un uomo come noi. Che può – eventualmente – essere un esempio, ma non è perfetto. Anch’egli può fallire, tradire, cadere in tentazione. E se lo abbiamo messo su un piedistallo, qualora questi cadesse, ci trascinerebbe nella sua rovina.
Nessuna persona, neppure la più perfetta, merita di essere presa quale stampino per dare forma a noi. L’ammirazione e la stima sono perfettamente lecite e perfino l’emulazione, con parsimonia, se ristretta ad un particolare campo. Tuttavia, noi siamo ad immagine e somiglianza di Dio. È lui il fine della nostra vita, la Perfezione a cui aspirare, consapevoli che, proprio la sua irraggiungibilità saprà donare “gusto” alla nostra vita.
Se, malauguratamente, trovassimo un esempio raggiungibile, infatti, il rischio è quello di perdere interesse. Se abbiamo raggiunto il nostro obiettivo, per quale altro scopo vivere? La nostra esistenza posteriore a tale evento sarebbe senz’altro grigia e priva di vitalità, finanche qualora noi possedessimo tutto quello che l’essere umano potrebbe desiderare.
È vero: ogni traduzione è un po’ tradimento. Ma un tradimento è necessario. Perché senza la traduzione che si applichi ai tempi vigenti, anche i principi migliori risulterebbero inutili e vuoti. In stridente contrasto con tutto ciò che li circonda, diventando, quindi, inutilizzabili.
Per questo, diventare grandi implica l’assunzione della responsabilità, tra le quali non può mancare la fedeltà alla propria originalità, che richiede di poter firmare ogni scelta, azione o pensiero, al di là dell’inevitabile condizionato dall’esperienza personale, dagli incontri, dal passato vissuto.

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