Due sono le voci poderose che il mondo conosce, fin quasi a trattenerle gelosamente e con garbo dentro il suo sangue: quella bisbetica della montagna e delle tormente e quella fantasmagorica del mare e delle burrasche. Aquile e pesci, ali e radici, cielo e terra: acqua, tanta acqua, acqua dappertutto perchè l’acqua è la vita. Tra il cielo e il mare – manovra impegnativa fatta dal Creatore di primo mattino, e fu opera di voce e di scompiglio «E Dio disse (…) E fu sera e fu mattina» – in mezzo staziona tutta intera l’opera della creazione, opera d’ingegneria e di fantasia, d’amore e d’immane sopportazione. In principio Dio fece tutto ciò, creando il cielo e la terra: la creazione. Il primo tempo.
Venne poi, un giorno, la ricreazione, il secondo tempo dell’opera: il tocco che perfeziona, il ricamo prima della consegna definitiva, la correzione al tema apposta ai margini del foglio (liturgia della Festa del Battesimo del Signore). Fatto novantanove, tanto valeva tentare di fare pure cento: Creazione e Ricreazione, il Dio della Genesi e il Gesù dei Vangeli. Il Padre e il Figlio, con lo Spirito Santo a fare da collante tra i due. A fare dei Tre una cosa sola. Da dove partire? Semplice: loro tre partiranno sempre dal basso, quello geografico, quello simbolico. Chi nasce povero, d’altronde, nei bassifondi della storia terrà legate le sue origini: per sempre, a memoria d’uomo. Anche questa domenica, appena dopo i giorni della festa e dei sollazzi. Basta con le grotte e le stelline, non è più tempo dei baci di Maria e degli abbracci di Giuseppe. Anche Erode, pace all’anima sua, dovrà fare i conti con i suoi conti-sbagliati: ad ogni strage ne sopravviverà sempre uno, sin dai tempi di Mosè: quell’uno, poi, terrà sulla groppa la responsabilità di vivere anche a nome degli altri, di chi non ce l’ha fatta. Dei primogeniti d’Israele, nel caso di Mosè; degli innocenti sterminati, nel caso di Gesù. Sempre così: ne scampa, ne scappa anche, sempre e solo uno alla cancellazione totale. Quel poco, però, basterà per turbare i sonni al tutto.
Oggi Cristo ha trent’anni: è un bellimbusto. L’ultima volta l’avevano veduto perdersi nel trambusto del ritorno da Gerusalemme. Poi silenzio su di lui, su di loro, sulla storia di quel Dio-bambino che sembrava estinto dalla circolazione. Per oltre vent’anni nessuno tenne più notizia alcuna di Lui e della sua smania di conquistare i cuori: l’enfante prodige di Betlemme sembrava essersi sciolto nel nulla. Riapparso, mostrò d’aver lavorato duro sulla materia più infame e divina da lavorare: il corpo umano, fatto di anima e muscoli, altezza e temperamento, carattere e immaginazione, inventiva e attrattiva. Due decadi di sparizione per imparare a decifrare il mondo dentro un granello di senape, per apprendere le leggi di bottega e della famiglia, i bisbiglii di una madre e i pensieri di un padre-carpentiere. Per apprendere il necessario degli uomini e l’indispensabile di Dio: che nessuno disprezzi nulla di tutto ciò che Dio ha creato. A Nazareth, fino ai trent’anni. Tempo perso? Per qualcuno pare proprio essere stato tale, per altri pare proprio di no. Lui, a chi osò contestargli quei cinque lustri di apparente far-nulla, spiegò loro come quello fu il tempo dei sensi, degli allenamenti, dei collaudi. Del silenzio che precede la Voce, perchè i discorsi non paiano poi parole-vane, sillabe gettate al vento. Quando riappare, come oggi, lo fa ancora in maniera controversa e scorbutica: l’attendono a destra e appare a sinistra, aspettano l’insegnante e appare l’alunno. Vorrebbero il gigante e appare l’Umile: quasi invisibile, incolonnato e incassato nella calca dei peccatori, dentro il Giordano anche lui, a condividere l’umile appartenenza alla genia degli umani.
Spaventa un Dio-Cristo così: che parte ancora da sotto come a Betlemme, dal basso, dai tuguri. E’ allarmante, poco rassicurante. Vorrebbero poter dire che non è Lui, ma una voce lo impedisce: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento». E’ Lui, altro che. Così uomo, pur essendo Dio, che nessuno, d’ora innanzi, potrà più dire che la terra va evitata, che il Cielo potrà essere comprato, che il peccato è la parola-finale. Si può sempre rialzarsi. Uno ha aperto la strada, inseguirlo è seguirlo: anche salvarsi.