In una società di arrivisti, dove pare che l’unico obiettivo, alla faccia di De Coubertin, sia vincere e, pur di raggiungerlo, tutto è lecito (compreso infangare il vicino), vedere qualcuno rinunciare a questa battaglia esasperata, è merce rara. Che, purtroppo, rischia di passare inosservato, perché ci sono lezioni che impongono la cattedra del silenzio e dell’esempio, dal momento che qualunque altra parola pronunciata al riguardo rischia di essere superflua.
Ci sono passi indietro, fatti nel nome del Padre, che profumano di tenerezza. Non come un sentimento dolciastro e velleitariamente natalizio, bensì come quella forza animosa capace di muovere verso vette non scontate, ma impegnative ed accessibili solo a chi ha la pazienza di ascoltare ed osservare, spingendo lo sguardo sempre un po’ più avanti rispetto al noto, nella speranza di rivelare il Mistero che abita in mezzo a noi.
Benedetto XVI è riuscito ad annunciarlo al mondo, con un fragoroso silenzio, che ha forse sconvolto tanti cuori. Sarebbe riduttivo, tuttavia, pensare che sia rimasto solo questo di un gesto che ha fatto la storia.
Quel gesto ne ha illuminati tanti altri, simili ma meno noti, lasciando trasparire quell’eleganza difficile da comprendere, ma capace di riempire di senso la ricerca di chi si sforza, quotidianamente, di andare oltre la routine giornaliera, nella speranza di colorare di nuovi significati la direzione della propria vita, non accontentandosi, ove possibile di qualche scialbo così fan tutti, che, spesso, non è che un contentino per l’anima assetata di infinito. L’invidia e l’ingordigia di fama alimentano baruffe; la discrezione è capace di accendere la concordia e creare scenari nuovi in situazioni che altrimenti rischiano di pervertire persino il senso stesso per il quale si sono create.
Un passo indietro è come un assolo nella penombra di un palcoscenico: non toglie visibilità all’attore principale, ma arricchisce il risultato finale. Richiede sempre, necessariamente, uno sforzo di dominio di sé, richiedono una (almeno parziale) morte a se stessi, in nome di un bene che si percepisce grande, che, almeno inizialmente, appare essere insensato, in quanto contrario all’istinto di conservazione che “naturalmente” ci anima.
Ma la realtà è ben diversa.
Memori, infatti, dell’invito di Cristo stesso – “I grandi delle nazioni le dominano, ma chiunque tra voi vuole essere il primo, sia l’ultimo e il servo di tutti!” (cfr. Mc 10, 35 – 45) – siamo sollecitati a pensare con una logica ribaltata, secondo la quale questo abbassamento, altro non è che un modo privilegiato di assomigliare a Cristo, pur nell’apparenza di uno svilimento di sé. Tuttavia, solo chi è davvero sicuro delle proprie potenzialità, rinuncia, volontariamente, a mettersi al centro della scena, con il preciso obiettivo, di far spazio ad altro da sé. A Cristo, innanzitutto. Ma anche all’espressione di doni differenti dai propri, che, magari, davvero richiedono e necessitano uno spazio superiore alla media, per esprimersi al meglio: siamo diversi e la profondità ricchezza insita nella nostra diversità attraversa anche le nostre differente, umanissime e personali necessità.
In realtà, quindi, scopriamo, a ben vedere che, non solo non si tratta di un deprezzamento di sé, bensì si rivela come la dimostrazione della grandezza che possiede solo chi sa farsi piccolo. Può essere però molto di più: un invito a guardare più a fondo, in cerca della perla preziosa, per vedere anche quella Bellezza che non è evidente, ma esige di essere s-velata!