“Padre.”
“Signore, insegnaci a pregare.” Lo avevano chiesto con voce di supplica, un intrecciarsi di curiosità e timore reverenziale. Quali parole avrebbe potuto usare il Cristo verso colui che aveva tempestato il cielo di stelle e formato le distese degli oceani?
Ed io avevo risposto, lasciando tutti interdetti. Che il divino avesse sapore di paternità era noto in svariati luoghi del mondo. La novità stava tutta nel senso racchiuso da quelle poche sillabe. Una conferma da dare vertigini, da far scoppiare il cuore di gioia.
Abbà. Padre.
Parola di figli, giammai di servi.
La distanza tra terra e cielo colmata in un batter di ciglia.
“Nostro.”
Mio e loro.
Oggi, ieri, domani e nei secoli a venire. Padre mio e loro.
L’eco degli osanna ancora rimbalza ed aleggia di casa in casa, di cortile in cortile, per tutta Gerusalemme. Non sarà ancora sopito, che presto verrà sostituito da un altro. Parole di festa si tramuteranno in grida di condanna che non vogliono appello.
Quel Padre è padre anche per voi, che accorrerete per curiosare, per schernire, per condannare, per vedermi cadere. Vi aspetterà sull’uscio di casa, in trepidante ed instancabile attesa del vostro ritorno, pronto a fare festa.
“Venga il tuo regno.”
Qui ed ora. Già e non ancora.
Lo attendono con trionfi, vittorie proclamate a gran voce, squilli di trombe e batter di tamburi. Ed invece esso è non più in là della punta del loro naso.
Nella mano tesa per dare soccorso, nel dito che asciuga una lacrima, nel sorso d’acqua dato a chi ha sete. Nel ponte del dialogo, nello sguardo che si posa benevolo alla ricerca di un terreno comune da cui partire, per piantare nuovi semi di speranza. Nell’amore reciproco che si protende verso il prossimo senza chiedere nulla in cambio.
Chiedono quando verrà il tempo, cercando di dare una misura agli anni, ai secoli e ai millenni. E non s’accorgono che il futuro atteso è già presente in mezzo a loro.
“Sia fatta la tua volontà.”
La brezza della notte gioca e s’intreccia ai rami d’ulivo. Di fronte a questo monte la città è un dormiente che presto si sveglierà in totale fermento.
Se possibile, passi da me questo calice.
Qualcuno crederà che sia stato uno sprovveduto, ingannato all’ultimo, sommerso da un gioco più grande di lui. Eppure i miei ammonimenti parlavano chiaro e gettavano nello sconforto quelli che mi seguivano. Può il Cristo parlare di morte? E scuotevano la testa, come si fa davanti ad un bambino recalcitrante che non vuole capire.
Sapete, uomini, quanto vi voglio bene?
Tanto così, risponderò. Spalancherò le braccia per mostrarvelo, innalzato tra terra e cielo per riunirli per sempre.
“Dacci oggi il nostro pane quotidiano.”
Eccolo.
Eccomi.
Pane vivo disceso dal cielo.
Ho sfamato le folle con pochi pani e due pesci. Mi volevano fare re.
Sazierò ben altra fame e la mia regalità sarà il motivo della mia condanna, appesa ad un cartello scritto in più lingue. Quella che il mondo chiamerà sconfitta, sarà la vittoria più grande di tutte.
Giocherò a nascondino ergendomi in piena vista. Cercheranno il divino senza accorgersi di averlo davanti a loro, intento a compiere l’impresa più folle di tutte: morire d’amore.
“Rimetti a noi i nostri debiti.”
Racchiudono l’umanità intera, dal primo all’ultimo uomo. Se devo fare le cose, le faccio davvero per bene. Me li carico tutti sulle spalle, i vostri debiti. Pesano come macigni. Dite che è troppo? Eppure adesso ne faccio un fagotto e li trascino con me fino al Golgota. Il loro peso mi farà inciampare, una, due, tre volte. Ma verrà il momento in cui di esso non resterà nulla, sarà un debito saldato con una croce, una volta per tutte.
“Ogni volta che facciamo memoriale della Passione di Cristo non ci limitiamo a ricordare un evento accaduto, ma ritorniamo là, al Gethsemani, con i nostri piedi teologici.”
L’aula intera stendeva le labbra in un sorriso al momento delle ultime parole. E rideva senza timore, quando delle orme di piedi comparivano effettivamente sul grande schermo alla parete e dall’oggi tornavano all’ieri, stilizzato in un piccolo ulivo. Magie dell’animazione durante le lezioni di teologia.
“L’amore rende eterne tutte le cose.” Proseguiva poi il professore, con rinnovata serietà. “Ogni volta che vi racchiudete in preghiera, che fate un gesto d’amore verso il prossimo, che fate memoriale tramite l’Eucarestia, ma anche ogni volta che andate fisicamente al Gethsemani, Gesù non è più solo nella sua agonia. Ci siete anche voi con lui, tenuti insieme dall’abbraccio dell’eternità.”