scavarebuca

Fidarsi è verbo di sicurezza: “Mi fido di te, sento di potermi fidare”. Affidarsi è verbo di confidenza: “Mi affido alla tua discrezione”. È pagamento di riscatto: «Mi affido alle tue mani; tu mi riscatti, Signore, Dio fedele» (Sal 30,6). L’opposto della confidenza è il guardarsi-bene: il verbo di chi diffida, di chi dubita. Il volgo sostiene che “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”, il Dio di Nazareth rovescia il proverbio, fa brillare l’ennesimo paradosso: “Fidarsi è bene, affidarsi meglio”. Si fida, dunque si affida: «Avverrà come un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni». Capita sempre così con Lui: la gestazione è di Dio, l’allevamento dell’uomo. A Dio la creazione, all’uomo la coltivazione: il primo e il secondo tempo dell’avventura di quaggiù. “Una mano lava l’altra” dice la gente. E’ davvero proprio così: la redenzione – il terzo-tempo dopo la creazione e la coltivazione – è il sogno per cui Dio è venuto al mondo.
Quando parte – «Poi partì» – mica è per disinteresse: un Dio-menefreghista è la fiaba melensa che adora quel cantastorie di Lucifero. Si può anche partire per amore di qualcuno: per una famiglia da saziare, per un sogno da inseguire, per una storia d’andare a scovare. Per partire, poi, mica è necessario andare lontano: basta anche spostarsi da una stanza all’altra, fare due passi indietro, scostarsi a bordo strada. “Partire” è verbo di allargamento: mi sposto e ti lascio strada-libera, tocca a te. Prendi in mano tu la tua vita, adesso. C’è chi parte per interesse, per disinteresse, per far-partire: “Finché non vai a casa i bambini non prenderanno sonno” diceva la nonna alla mamma quando ci accompagnava al mare. Eppure ci voleva bene, tanto-bene: ma era solo la sua lontananza che ci permetteva di diventare lentamente più grandi, un po’ meno piagnucoloni, forse un pizzico più indipendenti. Partiva la mamma: ed era tranquilla perché si fidava della nonna. Ci affidava alla nonna: ci sono persone che somigliano ai paesini di montagna, vicoli stretti, dove è ancora usanza lasciare le chiavi appese alla porta. Porte di case piene-zeppe di fiducia: «A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno». Senti la voce di Lucifero? “Vedi che fa preferenze, non è uno giusto. Perché non ne ha dato cinque a tutti?” – insinua. Esattamente perché è giusto: «Secondo le capacità di ciascuno». Dio non getta a caso, non spara sulla folla, non ha tesori da gettare alle ortiche. La sua fiducia è materia di atelier d’alta moda: tutto è su misura, storie e progetti fatti-a-mano. Per Lui affidare è parte in causa del riscuotere: ti affido quello che puoi fare, non ti chiedo l’impossibile, pare troppo ma sarai capace. Mi fido di te, dunque potrai!
È materia fanciulla, la fiducia: quando i bambini prendono per mano, già capisci di chi hanno scelto di fidarsi. Dio prende per mano. Di più: si mette nelle tue mani. S’affida a te, ti affida Lui stesso: “Fammi conoscere agli uomini!” Dio è materia-di-scambio per cuori. Possederlo è l’unico modo per perderlo, lasciarsi possedere è condizione di ricchezza spropositata: «Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò a impiegarli, ne guadagnò altri cinque». Anche l’altro: due-per-due. Il terzo no: ricco di un talento – il massimo che le sue spalle potevano reggere – lo nasconde. Non è egoismo, è cosa peggiore dell’essere avari: nutre paura, tanta. Esattamente di chi gli accredita fiducia: «Ho avuto paura, sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo». Il padrone non aveva avuto paura di rischiare la fiducia in lui, lui temette d’affidarsi alla sua fiducia: «La fiducia è la sola cura conosciuta contro la paura» (L. K. Sadler). Fuoco, fiamme: «Toglietegli il talento e datelo a chi ha dieci talenti». I maliziosi si salvano, di farabutti sono pieni gli scantinati del cielo, le prostitute danzano in fronte a Dio: tutta gente slabbrata, però professante fede nel Dio-della-gioia. Il Dio della paura è dannoso, è frutto della malizia di Satana: sogna di far morire l’uomo nuovo di zecca. Il contrario di Dio, che ai coraggiosi accredita cifre da capogiro: «Prendi parte alla gioia del tuo padrone». Il guadagno della gioia.
Nei Vangeli scavare buche è allenarsi a scavare tombe. A morire di paura.

(da Il Sussidiario, 18 novembre 2017)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. 
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 
Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. 
Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”» (Matteo 25,14-30).


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