lupoDietro le sbarre di un carcere ogni giorno si tenta l’avventura della rieducazione: obbligati dalla Costituzione Italiana (art. 27) che vede in lei lo scopo della permanenza in carcere, ci s’affatica e ci si applica col sogno di riuscire a far sbocciare quel capolavoro che se ne sta accovacciato sotto una faccia da lupo. Eppure se scrutati nel volto lupi non lo sono proprio. O, perlomeno, non lo sono sempre stati. Magari non lo saranno più. Sono “avanzi di galera” dentro i quali batte ancora un fremito di vita. Uomini dietro il cui volto è nascosta una storia: spenta, appassita, frastagliata e frastornata, ferita e minacciosa ma pur sempre una storia di uomini. Uomini e donne – fidanzati e figli, mariti e compagni, nonni e single – che ogni primo mattino a coloro che s’affacciano sull’abisso della loro anima mostrano come i fili del male s’intreccino inevitabilmente con i fili del bene: nella loro vita e nella vita di tutti gli uomini. Chi accetta di poggiare lo sguardo su quell’abisso – dove morte e vita si stanno affrontando in un prodigioso duello – lo fa non per spirito di curiosità ma per cercare di abitare il cuore dell’uomo e aiutarlo ad organizzare la speranza. Il male va compreso senza essere giustificato: compreso per capire meglio il percorso che ha avvicinato la persona al suo delitto, non giustificato per rispetto di chi è rimasto vittima della loro furia assassina.
Eppure c’è una domanda che abita il cuore di chi siede accanto a loro e s’affatica nel risalire la scarpata: che senso ha oggi rieducare un detenuto se poi il paese che lo riaccoglierà è un paese poco educato? Non basta addomesticare il lupo, occorre che un’intera città accetti il rischio di fidarsi che quel lupo non farà più paura. Che quell’uomo dentro l’oscurità del peccato e della morte abbia scoperto una ragione di luce per la quale è valsa la pena rimettersi in piedi e tentare di diventare un uomo migliore. D’altronde l’esperienza del male insegna che gli uomini malvagi esistono, ma gli uomini infelici esistono in misura maggiore. E le patrie galere sono sovrafollate non di uomini malvagi bensì di uomini infelici che, sbadatamente, han tentato di rubare la felicità scendendo a patti con la menzogna. Accoglierli dopo che hanno scontato una pena (che si spera sempre sia giusta e fatta nella maniera giusta) con il fucile tra le mani è assicurarci che la vera rieducazione è quella da compiere all’esterno delle sbarre, laddove l’uomo fatica a comprendere come la chiave gettata nell’oceano sia la sconfitta di un’intera città. Le buone parole delle istituzioni non bastano più, serve il coraggio di una nuova umanità che sappia far pace con i suoi delitti e accetti la fatica di rischiare una pagina nuova di storia. Altrimenti sarà come per il solletico: quando ti faccio il solletico tu ridi a crepapelle, sghignazzi senza misura ma quando poi smetto il tuo riso si ferma subito, e magari sei anche un po’ stanco, senza fiato. E’ diverso dalla gioia, vero? Quella rimane dentro anche se smetto di solleticarti il pancino: la differenza è questa, il nostro scommettere sull’uomo e il nostro donarci ai ragazzi non è solo divertirli o dare loro il contentino di un’attenzione – che all’inizio va bene ma alla fine li lascia solo stanchi -, è un donare la nostra presenza, il nostro amore. Alla fine non resterà il fiatone ma il ricordo di un uomo che gli ha voluto bene. E la vita nasce sempre sul credito di un incontro.
Solo chi ha conosciuto un Dio sbagliato – magari dipinto con gli gli occhiolini azzurri e i capelli biondi, con la testina inclinata a sinistra e le manine giunte – trova una perdita di tempo scommettere di continuo sull’uomo che sbaglia. Per chi ha conosciuto il Dio dei Vangeli, invece, l’uomo rimarrà pur sempre l’investimento più avvincente. Perchè rispecchia il sogno di Dio: che nessun peccatore muoia ma si converta e torni a splendere di luce. Allora sarà Pasqua.

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