Il vecchio curato starnutiva. O, nel più garbato dei casi, improvvisava vespertini e inattesi colpi di tosse, conditi da un rossore tra le rughe, ogni qual volta avvertiva il giovane prelato insinuarsi nella dimensione amorosa per rendere conto della Parola Eterna. Reggeva ed enfatizzava l’amore verso il prossimo, la passione serbata da Dio per l’orfano e la vedova, la deferenza che il figlio deve al padre per comando diretto e divino. Ma forzuti conati di tosse sorgevano quando l’amore gettava qua e là il profumo della passione, accendeva la carne, scioglieva sentimenti ed emozioni. Quando l’amore sapeva di seduzione, di adescamento, di inganno, di tentazione. Forse avea visto pure lui, accompagnato da coetanei, Manuale d’amore 2, magari come completamento del primo e in attesa della trilogia: la passione della Bellucci nazionale, l’arte dello redivivo Scamarcio, l’intima silenziosità di una stanza rapìta di passione. Ma distava miglia intere da Antonio Josè Bolìvar Proano – il vecchio di Sepulveda – che stava ritto in piedi nella sua capanna a leggere romanzi d’amore. Come antidoto contro il terribile veleno della vecchiaia. Leggeva lentamente, univa le sillabe, le mormorava quasi ad assaporarle e, composte, le ripeteva quasi per farle sue. Si tuffava dentro le idee, se ne bagnava, s’impadroniva delle emozioni raccolte tra le pieghe del romanzo.

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I megafoni liturgici oggi danno come certa la presenza di Geremia profeta tra le letture. Coscienza critica, calpestata, inascoltata di una nazione distratta in cui falsi medici vendevano tranquillanti: "Tutto bene, anzi molto bene. Eppure bene non va". Mica un romanzo, una devianza da giovane prelato, un appassionato amarcord tra giovinezze perdute. Stavolta è Parola Eterna: "Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto violenza e hai prevalso" (Ger 20,7-9). Seduzione. Violenza. Amore poderoso. Mica la pantomima datata di una scappatella adolescenziale. Geremia non tossisce e non s’arrossa: parla di sé come di un essere sedotto. Cioè attirato con un fascino irragionevole come si raggira  un innamorato alle prime armi. Perché accondiscenda alle manovre di chi è più astuto. L’amore viscerale e lacerante lo sta torturando. Tratta con il suo Dio e ha voglia di mollare tutto: "non mi ricorderò più di lui, non parlerò più in suo nome". Ma nemmeno Dio starnutisce o si nasconde: non si scandalizza per la protesta sofferente. Con lo sguardo ne delimita il confine di movimento perché il nome sta scritto sul palmo della sua mano. Come una massaia navigata che s’affissa tra le pieghe della mano i kg di pasta da comprare, i litri d’olio necessari, le uova per il dolce, la pasta per la domenica. La comare a cui far visita. Sul palmo della mano e sedotto con violenza divina: Geremia è circuito e impossibilitato a muoversi. Condotto dritto alla resa: "Ma nel mio cuore c’era un fuoco ardente. Mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo". Non si esce mai integri dall’incontro con Dio. Come è improbabile rimanere latitanti quando si è braccati da Lui.

A meno che qualcuno, proclamandone la sua seduzione, non tossisca nell’intento di offuscarne la portata. Per paura di rimanerne sedotto.

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