Chissà se, stavolta, Diego Armando Maradona sarà morto davvero oppure no: il numero di volte nelle quali è stata annunciata la sua fine è inferiore solamente al numero di goal segnati nella sua fiabesca carriera. L’aggettivo qualificativo, il più delle volte, è andato ad oscurare il sostantivo, ch’era anche il nome proprio di battesimo: Diego. Poche volte l’hanno chiamato per nome, il più delle volte l’hanno ribattezzato con gli aggettivi che ne hanno qualificato le sue gesta. Quelle eroiche: divino, geniale, poetico, d’oro. Quelle nefaste: cocainomane, distruttivo, ingrassato. Dopato. Aggettivi così portentosi da finire per adombrare l’uomo al quale venivano cuciti addosso di volta in volta, fino a farlo diventare una leggenda da vivo, «la leggenda del calcio» com’è stato definito. Un poeta ispirato sui campi da calcio, un poeta maledetto tra i vicoli del mondo: sempre di un poeta, comunque, stiamo parlando. Di un uomo capace di creare dal nulla giocate che, di getto, entravano nei manuali del calcio giocato, fantasticato, inseguito. Un uomo che ha fatto del calcio il suo metro di misura: «Se stessi con un vestito bianco a un matrimonio e arrivasse un pallone infangato – disse un giorno in un’intervista -, lo stopperei di petto senza pensarci». Il calcio e, sopra il calcio, null’altro.
Così tanto-calcio d’essere stato ripagato con l’appellativo più vicino agli dei che esista: il dio-del-calcio. Dio-minuscolo e pagano, eppure sempre una divinità ch’è stata capace di generare sentimenti d’appartenenza, di fede calcistica, quasi un credo pseudo-religioso: il calcio è l’unica religione professata che non annovera nessun ateo tra i suoi adepti. Maradona è stato uno di quegli eroi dannati che, partendo dalla penultima posizione, sono stati capaci di scalare la classifica, la montagna, l’impossibile. Di accendere una città, di dividere un’intera nazione, di attizzare la passione. Di zittire il fracasso dei tifosi: nulla è paragonabile ad una pausa di silenzio di quarantamila tifosi assiepati sugli spalti. A Dieguito anche il silenzio, come l’euforia, è riuscito. L’uomo di sport è stato questo, assolutamente molto di più: è stato il calcio per eccellenza, la poesia al potere, una vita a perdifiato. Gli si è perdonato tutto: la vita a trecento all’ora, il goal più truffaldino della storia, gli eccessi e le sbavature. Dieci secondi capaci di far capottare una partita: «Dieci secondi sono un lasso di tempo lungo nella vita di un eroe – scrisse J. Valdarno -. Diego Armando Maradona danzò e partì come un proiettile impazzito. Con un pallone, il corpo e la velocità si prese gioco di cinque sudditi dell’Impero Britannico e alla fine segnò un goal meraviglioso nella memoria di tutti. Accadde in Messico nel 1986, sul campo Inghilterra e Argentina». Dieci secondi: il tempo per fare la differenza. A nascere genio, dieci secondi sono un guizzo d’artista. Morì, quest’atleta, il 25 giugno 1994: in Argentina-Nigeria uscì dal campo scortato da un’infermiera. Diego dopato: «Ho sbagliato, è stata una leggerezza». Fine della carriera internazionale di Maradona, il funerale laico dell’atleta miracoloso.
L’altro, l’uomo, è morto ieri, dopo essere morto svariate volte: una sorta di morte pagata a rate. Non morto-e-risorto, bensì morto lentamente, definitivamente: quasi un’agonia umana, una via-crucis costellata di molte piccole morti. Da anni stava correndo in giù verso la fine e tutti lo sapevano, sentivano, presagivano: ha sfibrato così tanto la vita d’averne logorato la fantasia, come si consuma la cera di una candela. Fu così che un uomo, nato per far battere il cuore ai tifosi, un giorno morì perchè il cuore cessò di battere. Chissà perchè quel cuore avrà cessato di battere: per pochi, tanti battiti o perchè si era stancato di sentirsi dire ch’era nato solo per far felici gli altri, per tenere sulle spine se medesimo. “E’ stata una leggenda” dicono in tantissimi. La cosa mi piace se si aggiunge “del calcio”: una leggenda del calcio. Poi, però, fermiamoci qui, per non sbandare. Perchè si può essere una leggenda vivente, ma sicuramente questo non aiuta nessuno quando dovrà cambiare una ruota bucata: è la scarsa memoria delle generazioni che consolida le leggende. E’ stato un immenso giocatore, un fuoriclasse, un dio (minuscolo). Per tutto il resto, è stato uno come tanti, come tutti: una vita alla (disperata) ricerca di un significato.
(da Il Sussidiario, 26 novembre 2020)