“Impara l’arte e mettila da parte!” si dice spesso. forse diventa un po’ troppo aggressivo, ma forse è meglio “impara l’arte e.. mettiti in gioco!”. Perché, se c’è del talento, perché nasconderlo?
Non occorre essere sulle riviste patinate per poter offrire qualcosa di artistico a chi ha la pazienza di stare ad ascoltare o a guardare, con attenzione, il prodotto d’ingegno elaborato dalla mente umana, ma a servizio del cuore. Già, perché, pur essendo necessaria l’intelligenza, affinché un lavoro sia coerente e comunichi in modo adeguato col pubblico, non basta la semplice intelligenza a creare un vero spettacolo. Occorre l’intelligenza del cuore, per suscitare emozioni e trasmetterle.
Una dote rara che accomuna, in generale, chiunque si dedichi ad un qualche lavoro artistico. È la caratteristica che riesce a fare la differenza tra un’opera, magari anche tecnicamente perfetta, ma poco comunicativa, ed una che è in grado di rimanere nel profondo dei cuori di chi vi assiste. Che è poi l’unica speranza di poterli cambiare, aprendo gli occhi a nuove opportunità per il futuro, di ogni singolo, così come dell’intera umanità. Perché umanità non è un concetto astratto, ma ciò che risulta dalla somma di tutti i singoli, che, nel corso della vita, si impegnano per diventare migliori.
Non tutti sono destinati ala gloria nel mondo dello spettacolo, o, più in generale, dell’arte; ma, se c’è una capacità che, sviluppata con l’esercizio e con lo studio, può portare frutti, perché negarlo. C’è una grande differenza tra l’ostentazione di sé e il servizio agli altri. Ed anche tramite un talento artistico si può esprimere un servizio alle persone.
Non esiste solo il guadagno in denaro, sebbene non sia affatto riprovevole che qualcuno viva grazie a guadagni dovuti ai propri talenti artistici. Basta il solo lavoro amatoriale, tante volte, per veicolare cultura e messaggi positivi, magari attraverso una commedia leggera e disincantata. Basta un attimo. e lo svago si arricchisce di connotati assiologici e antropologici di rilievo, talvolta molto più profondi di quanto gli stessi artisti li abbiano immaginati, in origine. Il richiamo a qualcosa che, il più delle volte era retaggio di noi stessi, ma, forse, semplicemente sepolto dietro alle mille preoccupazioni quotidiane, un pensiero su cui non ci eravamo soffermati, una nuova prospettiva, una nuova idea, oppure una nuova convinzione su idee già rimuginate: tante possono essere le reazioni possibili. Il più delle volte, si tratta di un arricchimento della percezione nella gamma dei sentimenti, perché, per lo più, sono questi ultimi ad essere messi in scena nella maggior parte delle rappresentazioni artistiche.Ma quel che è certo che “qualcosa si muove”, quando l’offerta artistica ha valore.
Forse è questa la magia dell’arte. Il risultato finale è sempre qualcosa di più della semplice somma dei fattori scesi in campo per produrla. E solo quando questi si combinano con una perfezione strabiliante, può realizzarsi il miracolo: l’avvenuta comunicazione tra chi ha eseguito l’elaborazione artistica e chi l’ha ricevuta. Un passato mai scontato, spesso ricco di sorprese e tante volte anche di reciproci fraintendimenti. Piccoli e grandi. Così è sempre stato, dall’inizio della storia dell’uomo e così, molto probabilmente, sempre sarà.
Ma davvero serve, l’arte?Se fossimo solo animali, sarebbe irrilevante. A chi importa la danza, la musica, la letteratura o le arti figurative? Non ci consentono di ripararci, non migliorano la nostra alimentazione, né il nostro stile di vita (anzi, spesso, lo peggiorano: basti vedere quali siano le pessime abitudini di chi lavora nello spettacolo – pasti quando capita, poche ore di sonno, tanta fatica, tanti km da macinare sull’asfalto, qualche soddisfazione e tanti sacrifici). Dunque, perché investire tempo ed energie in attività che, rispetto alla nostra vita concreta sembrano non avere alcuna influenza particolarmente benefica?
Perché siamo uomini. Siamo fatti per la Bellezza. La cerchiamo da sempre. Dai graffiti del paleolitico alla pop art di Andy Warhol, dagli inquieti romantici all’estetica idealista del neoclassicismo. Spesso gli artisti non sono diventati ricchi, con questo mestiere; talvolta, sentitisi incompresi, hanno cercato rifugio alla delusione nell’alcol o nella droga.
Eppure, nonostante tutto ciò, non ci stanchiamo mai di vedere qualcosa di bello, di ascoltarlo con le orecchie, assaporarlo col gusto, odorarlo con l’olfatto. Perché la realtà è che tutti i sensi anelano alla bellezza, non solo la vista, anche se quest’ultima – più appariscente – pare prevalere su tutti gli altri e farla da padrona.
Purtroppo, talvolta, la Chiesa non si è rivelata in grado di apprezza la positività ed il valore delle multiformi arti che sono praticate e che propagano gioia, allegria, riflessione e meraviglia. Perché questo arriva al pubblico, dopo tanti sacrifici per chi questi spettacoli prepara con tanta cura, passione ed impegno.
Papa Benedetto XVI ebbe a dire, con sfolgorante chiarezza, una bella precisazione a riguardo:
Il momento attuale è purtroppo segnato, oltre che da fenomeni negativi a livello sociale ed economico, anche da un affievolirsi della speranza, da una certa sfiducia nelle relazioni umane, per cui crescono i segni di rassegnazione, di aggressività, di disperazione. […]Che cosa può ridare entusiasmo e fiducia, che cosa può incoraggiare l’animo umano a ritrovare il cammino, ad alzare lo sguardo sull’orizzonte, a sognare una vita degna della sua vocazione se non la bellezza? Voi sapete bene, cari artisti, che l’esperienza del bello, del bello autentico, non effimero né superficiale, non è qualcosa di accessorio o di secondario nella ricerca del senso e della felicità, perché tale esperienza non allontana dalla realtà, ma, al contrario, porta ad un confronto serrato con il vissuto quotidiano, per liberarlo dall’oscurità e trasfigurarlo, per renderlo luminoso, bello.
[…] L’espressione di Dostoevskij che sto per citare è senz’altro ardita e paradossale, ma invita a riflettere: “L’umanità può vivere – egli dice – senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non potrebbe più vivere, perché non ci sarebbe più nulla da fare al mondo. Tutto il segreto è qui, tutta la storia è qui”. […]La bellezza colpisce, ma proprio così richiama l’uomo al suo destino ultimo, lo rimette in marcia, lo riempie di nuova speranza, gli dona il coraggio di vivere fino in fondo il dono unico dell’esistenza. La ricerca della bellezza di cui parlo, evidentemente, non consiste in alcuna fuga nell’irrazionale o nel mero estetismo.
Troppo spesso, però, la bellezza che viene propagandata è illusoria e mendace, superficiale e abbagliante fino allo stordimento e, invece di far uscire gli uomini da sé e aprirli ad orizzonti di vera libertà attirandoli verso l’alto, li imprigiona in se stessi e li rende ancor più schiavi, privi di speranza e di gioia. […] L’autentica bellezza, invece, schiude il cuore umano alla nostalgia, al desiderio profondo di conoscere, di amare, di andare verso l’Altro, verso l’Oltre da sé.
(Benedetto XVI, Incontro con gli Artisti, 21 novembre 2009)
No, forse, l’arte non diventerà mai una voce rilevante e fondamentale nell’economia di alcuno Stato. Non sarà il settore trainante, non sfornerà leader prestigiosi. E, forse, non cambierà nemmeno il mondo.
Ma ci potrà richiamare, ogni volta, sullo stare al mondo. Ci richiamerà a noi stessi, ci mostrerà a noi stessi. E ci ricorderà, ogni volta si rivelerà opportuno che non è di sola economia che vive l’uomo, ma cerca la Bellezza più che il pane. Ed è in questo stupore che potrà riscoprire quell’infanzia che potrà dargli speranza per il futuro ed incoraggiarlo a non arrendersi di fronte alle sfide più impegnative, ma continuare a credere nella bellezza dei propri sogni.