Ha detto la cosa più scontata eppure il tam-tam anche stavolta ha funzionato alla grande. Viene il sospetto che in un mondo in fase di “complicazione avanzata” ritornare alla semplicità sia il segreto per accendere il dibattito. E, magari, renderlo frizzante. Come nel caso del voto in condotta da riservare ai professori, probabilmente una delle poche dichiarazioni politiche che abbia acceso l’attenzione del popolo che a scuola vorrebbe andarci non solo per sentirsi riempire di nozioni ma qualche volta anche per sentirsi acceso da una passione. In fin dei conti c’è da giurarci che l’assessore Donazzan – donna avvezza da anni a correre su una lama affilata qual’è il mondo dell’Istruzione e della Formazione – conosce benissimo l’etimo del verbo sapere: ovvero la radice latina che attesta il significato di “provare gusto, assaporare”. Ragione per cui il sapere si apprende più facilmente se passa attraverso il sapore dell’insegnamento docente. Nulla di più scontato eppure – a serrande calate sull’anno scolastico passato – val bene ricordarlo: si può essere costretti ad andare a scuola (e questo lo sperimentiamo quotidianamente, almeno fino ai 16 anni) ma non si può essere costretti ad ammettere che ogni giorno la scuola sia “saporita”.
Il più delle volte ci s’abbatte sul popolo che giace supino davanti alla cattedra: lo si bolla come addormentato, disinteressato, disaffezionato e qualunquista. Per non aggiungerci manipolato, sornione e imbranato. Stavolta l’obiettivo è spostato sull’uomo/donna che sta sulla cattedra: non basta più la competenza, serve lo stile per far sì che le nozioni attecchiscano nel senso più botanico del termine, mettano radici e facciano germogliare quella curiosità che nel mondo classico era una delle condizioni prime per accedere al mondo dell’intelligenza. Perchè senza curiosità da laboratorio creativo l’aula scolastica diventa una zona da “catena di montaggio”, dove la curiosità è tradita a scapito della sicurezza di una promozione promessa. Chiedere che anche i professori vengano giudicati di fronte alla corte marziale della condotta potrebbe semplicemente significare di chiedere loro d’essere non solo competenti ma pure appassionati e appassionanti: in fin dei conti il buon don Bosco diceva che l’educazione è una cosa del cuore. E il cuore vive prima di tutto di passione. Nulla toglie a chi a scuola ci va per apprendere (perchè ci sono anche coloro che a scuola ci vanno per dimostrare di sapere già tutto, ndr) la necessità di sudare, di faticare e di applicare la massima di Plauto il quale sosteneva che “chi vuole la mandorla rompa il guscio”. Ma il processo sarebbe meno noioso se qualcuno col sorriso convincente ti facesse nascere il sospetto che la mandorla valga la fatica di rompere quel guscio.
Dal voto in condotta ai docenti – che siamo certi i ragazzi firmerebbero all’unanimità – si passerebbe poi facilmente al verificarne l’amore per la vita, la passione di un senso da ricercare assieme, la disponibilità a costruire una coscienza organizzando la speranza nell’animo degli studenti. E’ un chiedere troppo? D’altronde l’insegnante deve sapere perchè sta comunicando, come l’alunno deve sapere perchè sta apprendendo. In caso contrario da officina delle idee la scuola diventa fotocopiatrice d’ingiallite nozioni. Rese ancor più insopportabili dalla tristezza nascosta dentro la voce e il gesto di chi s’ostina a pensare che stare sulla cattedra sia sinonimo di “immunità da insegnante”.