L’Uomo più ambizioso di tutta la storia dell’umanità. E di conseguenza pure la Sua storia – scritta da chi dopo di Lui ne accetterà la sfida della sequela – verrà tacciata d’essere la storia più ambiziosa dell’umanità. Un Uomo arrivato a trent’anni senza spendere parola alcuna, una sera consegnò l’ultimo lavoro di falegname (chissà se Giuseppe gli avrà dato una piccola provvigione a quel figlio laborioso e mansueto, ndr), posò il mantello da garzone nella bottega di papà e se ne andò. Trent’anni di silenzioso apprendistato: una vita da garzone.
A Nazareth (pure io oggi ho scoperto d’essere residente a Nazareth) dopo sei lustri d’attesa tutti s’aspettavano un miracolo, un “fuorionda” o magari l’inatteso di una parabola: invece tutti delusi oggi, me compreso. Perché il primo passo dell’Uomo Ambizioso è quello di lasciarsi tentare da Satana (Mc 1,12-15) per essere uomo fino in fondo, per condividere con noi la prima legge di chi nasce uomo che si chiama tentazione. Tentato per smascherare la putrida meschinità del Demonio, questo dilettante di teologia, psicologo ridicolo, sprovveduto uomo di cavalleria. Forse può dire di conoscere le tecniche migliori per mettere in crisi me, strampalata creatura impastata di fango; ma di fronte a quell’Uomo/Dio impazzisce per lo smarrimento e la stanchezza di un lavoro che si è logorato nel corso dei secoli. Quaranta giorni di deserto, di tentativi falliti, di sconsiderati pensieri nel trarre in inganno la Verità. Poi la resa: completa, misera, tenebrosa. Satana si allontana tra le dune del deserto, gli angeli s’avvicinano a quest’Uomo dichiaratosi Figlio di Dio per servirlo e noi ci accorgiamo che il gioco era stato inventato al contrario. Perché il Demonio dev’essere preso in giro di fronte al palcoscenico della storia. E così a Vangelo chiuso scopriamo ch’è stato Gesù Cristo a tentare Satana: l’ha provocato per fargli capire chi fosse veramente Lui e Satana – misero dilettante di furbizia – ci è caduto, non ha saputo reggere al gioco, s’è dimostrato perdente. Gli avessero diagnosticato il male, scopriremmo oggi che faceva pure lui parte del Fan Club di Donna Prassede – pennellata e oltraggiata dalla penna di Alessandro Manzoni – la quale “diceva spesso agli altri e a se stessa che tutto il suo studio era di secondare i voleri del cielo: ma faceva spesso uno sbaglio grosso, che era di prendere per cielo il suo cervello” (A. Manzoni, I promessi sposi, cap. XXV).
Esce dalla bottega al tramonto del sole e all’aurora si lascia condurre nel deserto tra starnazzare di belve selvatiche e rauchedine di una faccia d’angelo divenuta Lucifero. Altro che quella caricatura di Dio che Satana regala al povero Adamo, mezzo nudo e mezzo vestito, nel giardino dell’Eden. Hai visto che Dio gli dipinge? Un Dio tentatore – castratore, che un po’ sadicamente regala all’uomo il godimento per poi negarlo. Quasi a dire: “Adamo, vedi com’è bello tutto ciò?”. E Adamo, appena promosso custode del creato, a rispondere: “Meraviglioso, Signore mio”. E la sferzata sadica di Dio: “Peccato sia proibito!”. Quando invece c’è tutta la tenerezza di Dio in quel racconto. Un Dio che ad Adamo regala il cielo e la terra, il mare, i fiumi e le montagne. Gli alberi, gli arbusti e gli uccelli del cielo. Regala tutto, ma gli mostra anche il cammino per arrivarci! La strada è sconnessa, pericolosa, difficile da indovinare: Cristo ci mette dei guardrail, delle “barriere protettive”, degli indicatori stradali. Vedi dove s’incunea quel maledetto avversario: ieri, oggi, domani. Fino all’ultimo istante! Ti fa credere che Dio sia perverso e cattivo, geloso e invidioso, maligno e tremendo. Ma la Bibbia è disarmante nella sua puntualità: Satana gli mostra quel piccolo frutto cui aggrapparsi, una mela per godere, un piccolo albero come sogno proibito. Tutto in piccolo, abusivo e riduttivo, mentre Dio ad Adamo dava la possibilità di spaziare nell’intero Giardino. Di più: camminava con lui!
Consegnato l’ultimo lavoro di falegname, ha indossato il vestito dell’uomo ed ha accettato la sfida di battere la testa, nella più umile dimostrazione della “teoria del picchio” che regge le fondamenta del Vangelo e dell’Eternità: “il picchio deve la sua salvezza al fatto di usare la testa”. La sfida ch’è rimasta quella sin dai tempi di Noè, l’uomo dell’arco dipinto tra cielo e terra: quella di farsi irridere/tentare dal mondo per raccontare la logica di Dio. Ch’è sempre un passo oltre, tanto da essere capita sempre un attimo dopo.
Povero vecchio diavolo. O povero me.