E’ stata tacciata d’essere la storia più ambiziosa del mondo e i suoi protagonisti d’essere ancor oggi un manipolo d’illusi privi di ogni ragionevole certezza. Eppure il cristianesimo c’attesta che la storia della salvezza dall’inizio ad oggi ha sempre scelto d’abitare dentro il rischio del sangue e della miseria rifiutando di confinarsi nella sicurezza del silenzio dei monasteri. Così capita che nel momento massimo dell’oscurità abiti l’attimo esatto nel quale splende una stella per tracciare il cammino. Ivar Benjamin Oesteboe è un ragazzo norvegese di 16 anni e per un caso fortuito del destino è scampato alla strage dell’isola di Utoya. Non sempre scampare significa tornare a vivere come prima: c’è chi rinasce, chi avverte la colpa di non essere morto pure lui e si toglie la vita come lo scrittore Primo Levi e chi, memore di una strage, decide di tornare a vivere per non far dimenticare il ricordo di coloro che non ci sono più. Ivar ha scelto la più difficile: tornare a vivere nel nome degli amici uccisi dalla follia. Ch’è come dire reiniziare la vita facendosi un nuovo segno della croce: “Nel nome della vita”. Ha aperto il suo PC e sulle stesse bacheche nelle quali viaggiava la loro rishciesta d’aiuto, ha scritto una lettera a Anders Behring Breivik, l’uomo che ha aperto il fuoco immaginando d’aprire un nuovo modo di costruire la speranza. Non importa quale sia il Dio invocato da questo ragazzo: c’inquieta che il suo messaggio non faccia altro che attestare la forza della speranza che rinasce sopra le macerie della storia. “Tu crederai forse di aver vinto (…) – scrive Ivan all’assassino – A Utoya, in quella calda giornata di luglio, tu ha creato alcuni fra i più grandi eroi che il mondo abbia mai prodotto, hai radunato l’umanità intera”. Non c’è la collera del mondo adulto e non s’avverte nemmeno l’ingenuità del mondo infante: è la voce di un’anima giovane che trova il coraggio di riorganizzare la speranza nel cuore dei sopravissuti. E’ una Bibbia tradotta in lingua giovane da chi ha contemplato in anteprima il duello prodigioso tra la Morte e la Vita. Vedendo la forza del Bene non soccombere del tutto: “Io non sono arrabbiato – conclude il ragazzo – Io non ho paura di te. Non ci puoi colpire, noi siamo più grandi di te. Noi non risponderemo al male con il Male, come vorresti tu. Noi combattiamo il Male con il Bene. E noi vinceremo”. Che quella cristiana sia la storia più ambiziosa del mondo è un privilegio che non c’importa più di tanto far valere. Ciò che conta è che mentre il mondo adulto se ne sta chino a ragionare e sospettare sui grandi concetti, c’è un lembo di storia – quella giovane e bastonata – che dentro le macerie di un terremoto sa leggere il passaggio di un aratro che rompe la terra perchè la prossima semina risulti più fruttuosa. Qualcuno potrà incassare pure male questo messaggio di Ivan: d’altronde a chi è abituato a darle, prenderle non è mai un vanto. Eppure, costretti o convinti, non ci rimane che l’audacia della speranza giovane come arnese per continuare a lavorare l’esistenza dell’umanità.
Fuori da una bottega di città un commerciante scrisse: “Non faccio per vantarmi, ma oggi è una bella giornata”. I cronisti padovani attestano che parecchi, a lettura avvenuta, avevano finito per crederci davvero che la giornata era bella. A volte la storia viaggia sulle ali dell’ambizione: perchè, dopotutto, credere è sempre rimasto voce del verbo “non cedere”. Toglieteci la sfumatura della fede e non cambia poi così tanto: stavolta il Vangelo è scritto in lingua norvegese.