bilic-comfort-111808Tutti pronti a criticare, quando si perde (ne è conferma persino la recente dimissione dell’allenatore della Roma, con conseguente e abituale strascico di polemiche). Ma tutti altrettanto, se non più, pronti a “salire sul carro del vincitore”, dopo la vittoria. Prontissimi a rimangiarsi cattiverie, ostilità e certezze da “tuttologia” imperante.

Tutti protesi e impegnati a vincere, a sognare una medaglia, una coppa, un riconoscimento, una targa: alla faccia del barone De Coubertin. E in realtà, tutto ciò – sia detto per inciso – lo condivido pure. A patto che non ci si dimentichi di quanto una sconfitta, che nessuno ricerca né può essere posta come obiettivo di una carriera o anche solo di una manifestazione o di un evento sportivo, possa tuttavia essere una grandissima fonte di apprendimento e di crescita personale.

La sconfitta ha la violenza di uno schiaffo in faccia, l’umiliazione di un insulto e la capacità di devastazione di un tornado in Florida. Specie quando inattesa e imprevista, risulta destabilizzante, disturbante, inquietante, stupefacente. Ti lascia a terra, attonito, deluso, annichilito nell’incapacità di comprendere e reagire. Qualunque sia lo sport, diventa dimostrazione concreta e tangibile dell’alterità della vita rispetto alle proprie capacità e possibilità di gestirla. C’è sempre qualcosa di non controllabile, di non sottoponibile completamente alla nostra volontà e al nostro potere. L’emozione, un infortunio, una condizione del campo contraria alla nostra preparazione atletica, o, più semplicemente, un avversario più bravo, preparato e dotato di quello che ci saremmo aspettati.

 

Non fraintendetemi: non sto facendo un elogio della sconfitta, né intendo auspicare la sua ricerca a tutti i costi. Ma credo – fermamente – che possedere gli strumenti per “leggerla” e farli apprendere ai nostri ragazzi sia importante non solo nello sport, ma in ogni disciplina; ed è un insegnamento nella vita stessa. La sconfitta è una prova, non nel senso di difficoltà, ma nel senso di verifica… fa troppo ‘linguaggio scolastico’? …e allora, chiamiamolo test di controllo! Si tratta, quindi, di qualcosa che serve a chi la subisce per mettersi in discussione. Per fermarsi, riflettere, riordinare le idee, puntellare le proprie debolezze, gioire dei miglioramenti, constatare i propri punti di forza. Vincendo sempre, è più difficile farsi domande. La vittoria dà una felicità inebriante, e, spesso, una sorta di delirio di onnipotenza, per cui si è quasi incapaci di ragionare e prendere coscienza del valore dell’impresa compiuta, della capacità (o meno) di proseguire nella stessa direzione e per quanto tempo. Perdere comporta una destabilizzazione, è vero: ma allo shock iniziale segue poi la domanda, inizialmente lancinante del perché. È lancinante, perché – all’inizio – è doloroso farsela, corrisponde al prendere coscienza dell’accaduto, e questo non è mai facile. È più semplice e meno impegnativo accogliere la sconfitta come una fatalità ineluttabile, come un destino inevitabile: ma è una rinuncia a sfruttare le ricchezze che la sconfitta offre. Altra soluzione di comodo è quella di cercare la motivazione in altro da sé: la colpa è dell’arbitro, dell’allenatore, della federazione, della società. Di chiunque, purché non nostra: una scelta di “autotutela psicologica”, che ci mette al riparo dalla possibilità di metterci in discussione e, quindi, anche da quella di migliorarci, però.

Pensiamo di dover tutelare i nostri figli e i nostri ragazzi da ogni cosa che possa (anche solo lontanamente) ferirli. E non ci rendiamo conto che proteggerli da tutto li lascia piccoli, non li fa crescere. Anche nell’educazione, un NO costa sempre molto. A chi lo emette, e a chi lo riceve. Ma un rifiuto sfida la grinta e la determinazione, aiuta il discernimento e consente di mettere in atto una scala di valori. Il bambino e il ragazzo si rende conto di cosa per lui sia davvero importante: lo è qualcosa che gli costi fatica, per cui è disposto a lottare per ottenerlo, anche contro un rifiuto ricevuto. Sono sogni, desideri importanti che sono capaci di comandarti, di possederti, di farti fare progetti. Solo se si trovano delle difficoltà e degli ostacoli, si può davvero capire se abbiamo una voglia (momentanea, passeggera, legata solo a sensazioni ed emozioni temporanee) oppure un desiderio, un sogno, un progetto sincero, duraturo, guidato da un sentimento forte, che guarda in avanti e che “mette in moto” il cervello, alla ricerca di soluzioni nuove, fantasiose, creative per raggiungere il risultato cercato.

Siamo abituati a vedere palmares di atleti, giocatori e squadre: una raccolta, cronologica, dei risultati più positivi della loro storia. Giusto e doveroso ricordarlo. Ma non possiamo “dimenticare” una parte importante. Vinco, perché ho perso. Le vittorie confermano il mio lavoro, la mia tenacia, la mia passione. Ma sono le sconfitte che mi ribaltano, che mi rimettono in discussione, mi pongono domande e mi rimettono di nuovo al lavoro, alla ricerca di un risultato migliore!

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