Terminata l’epoca dell’arroganza e tramontato il tempo dei miracoli, rimane il tempo della precarietà e dell’attesa. Cioè del momento perfetto per accendere una rivoluzione. La precarietà dice tristezza, mancanza e malinconia: racconta di uno stato d’emergenza in cui persino sorridere diventa una cosa assai ardua e improponibile. La precarietà è dell’uomo che, al contrario di Dio, quando pensa d’essere onnipotente s’accorge d’aver usato in malo modo il giocattolo della libertà. La rivoluzione è di Dio che, al contrario dell’uomo, deve accendere la sua creatività divina per risistemare ciò che l’uomo ha scompaginato. Ci sono anche le rivoluzioni dell’uomo: ma sono semplici strategie che occupano il breve spazio di un decennio, forse di un secolo. Ma tutte, prima o poi, come sono cresciute così sono morte. Portando nella tomba pure la sconfitta di chi su di loro aveva poggiato il sogno di un’umanità migliore. C’è stato il tempo della rivoluzione americana, francese, messicana. La Guerra per l’indipendenza greca, la guerra civile russa e la rivoluzione bolscevica. Quella cinese, quella comunista – cubana e quella fascista. Ma ognuna di queste com’è nata è anche tramontata: lasciando come reliquie del suo passaggio frammenti di pensieri che ancor oggi s’intestardiscono di mettere un che di nostalgia. Sono le rivoluzioni degli uomini: quelle che, puntando sulla potenza, s’avvicinano moltissimo al destino ultimo dei dinosauri che sono andati esaurendosi per troppa forza. Si sono salvate le farfalle: che ai dinosauri procuravano solletico nei giorni migliori.
Anche Lassù s’è inventata una rivoluzione: l’esatto contrario, però, della rivoluzione ideata e orchestrata dagli uomini. L’unica assurda rivoluzione che scommette tutto sulla debolezza, sull’innocenza e sull’ingenuità, perchè parte dall’impotenza di un Bambino per tentare di raddrizzare la storia degli uomini. Ma basta questo per ricordare all’uomo di non essere Dio: la crisi dell’economia e l’infossamento del deficit pubblico, la svalutazione dei capitali e l’anestesia del pensare collettivo, la frantumazione dei legami affettivi e l’idiozia di certe manovre planetarie, la diffidenza dell’uomo verso se stesso e l’ansia di un pianeta che sta per implodere altro non sono che la conseguenza di rivoluzioni partite col piede sbagliato e ripiegatesi su se stesse. Rivoluzioni smantellate dalla debolezza di un Bambino – nelle cui sembianze si nasconde il Dio Eterno – che ancora una volta ci ricorderà nel giorno di Natale come l’uomo, sganciato dalla sua anima, partorisca tragiche vittorie. L’uomo calcola, progetta, s’intestardisce. Il bambino scarabocchia, si stupisce, ritenta in continuazione: inventa se stesso in ogni minimo atto del suo camminare. Tra l’uomo e il bambino Dio sceglie la strada del Bambino: la non considerazione, l’ingenuo andare, il potere dei sogni e il coraggio del rischio. Ingredienti micidiali per mettere sotto sopra il perfetto controllo che le mani dell’uomo sognano da millenni. Anche Erode sognava di controllare il mondo: peccato solamente che nel suo calcolare gli fosse sfuggito un bambino. Nulla di preoccupante per chi punta tutto sulla potenza: cosa può contare un bambino? Peccato che quel bambino gli abbia smantellato regno, potere e velleità di carriera. Eppure era niente più che un bambino. Ma stava dentro al progetto della rivoluzione di Dio.
Quando l’uomo non capisce s’appella alla potenza del caso o, tutt’al più, del destino: che del primo è quasi sinonimo. Ma gli sfugge una cosa: che molte volte il caso altro non è che il travestirsi di Dio quando decide di viaggiare in incognito per le strade dell’umanità. Il destino di una crisi, di un fallimento, di un baratro. Di un dramma, di un’improvvisata, di una caduta. Solo chi s’incupisce a ragionare con gli occhi dell’uomo non ci legge il travestimento di un Dio alla disperata ricerca della sua umanità.
Che da Lui vuole scappare.