E fu così che, alla fine, Papa Francesco riuscì a concludere il più lungo dei suoi viaggi apostolici. Pensavamo tutti, ragionando sulle mere statistiche, che nessun altro avrebbe battuto quello tra Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor Est e Singapore: impensabile, vedendo il novello Mosè invecchiare, pensare di superare i 32.814 km di quel viaggio-monstre di tredici giorni attraverso due continenti e quattro paesi. I nostri, però, erano i classici “conti senza l’oste” fatti tanto per voler chiudere anzitempo il combattimento: abbiamo sempre fretta, noi umani, di scrivere la parola “fine” alle storie. Ieri, invece, il contropiede che ancora una volta ribalta la partita: dopo aver salutato il mondo da quell’oblò del Policlinico Gemelli, Papa Francesco, prima di rientrare nel suo habitat naturale, ha fatto visita alla Madonna Salus Populi Romani, la “sua” Madonna, alla quale si affida prima e dopo ogni suo viaggio. E’ stato per questo suo marchio di fabbrica che, ieri, abbiamo dovuto riscrivere il canovaccio già pronto: il suo viaggio più lungo, di un intero pontificato, diventa il viaggio nel paese del dolore e della sofferenza, un viaggio durato trentaquattro giorni. Un viaggio abitato da silenzi, affanni e debolezze perchè il dolore vero non è mai quello che dici ma quello che taci. Un dolore muto, sordo e cieco, capace di far rabbrividire anche questo condottiero mai domo e sempre all’erta che succede, nel trono bollente, al pescatore di Galilea. Non incontri ufficiali, discorsi, inchini: più che l’oceano c’era da attraversare la sofferenza, le lacrime, i tormenti questa volta. C’era da tenere sulle spalle quella croce che, a chi la porta, vieta di scattarsi selfie da quanto insostenibile sembra in viaggio.

Un Pietro inedito è stato il protagonista di questo viaggio: una roccia friabile, un corpo vacillante, un animo sereno. Non è mai stato così uomo, il Papa, come stavolta, quando ha deciso d’affidare al mondo la sua fragilità, ben sapendo d’esporla anche al ridicolo: “Nessuno sarà mai così forte come chi tratta la fragilità degli altri con delicatezza” avrà pensato mentre rileggeva i bollettini medici, scarni e sinceri fino all’osso. Il mondo, da parte sua, ha risposto con la delicatezza delle preghiere e l’ignominia degli sfottò. Lui, confidano i medici, «quando gli raccontavano delle fake-news sulla sua salute, sorrideva». Il mondo è certo di riuscire a convincere qualcuno che la pipì sia pioggia: ciascuno è libero di crederci o meno. Pietro, comunque, rimane Pietro: la pietra, sotto la grandine, non muta d’aspetto. Aveva il suo bel daffare nei giorni in cui, curiosi, chiedevamo la sua faccia a qualsiasi prezzo: stava offrendo la sofferenza per i suoi luoghi del cuore. Non Zanzibar, Mauritius, Seychelles ma «specialmente la martoriata Ucraina, Palestina, Israele, Libano, Myanmar, Sudan, Repubblica Democratica del Congo» come ha scritto ieri nel breve testo dell’ennesimo Angelus dal fronte. Ne esce invincibile, pur se stremato: “Hanno riso di me, voi avete pianto con me” pare una sintesi adatta.

Satàn, nel frattempo, è andato in fregola nel fango come i maiali: nessun Papa, a memoria, è stato oltraggiato nel dolore come lui in queste settimane. Il suo popolo, il popolo di Cristo, si è aggrappato alla preghiera per accarezzare le sue fragilità, prenderle per mano e chiedere che tutto andasse per il meglio: non che si volesse dire a Dio ciò che era giusto fare, ma che non lasciasse Pietro da solo nell’attraversare la sofferenza. Che, per un mistero della fede, era anche la nostra: mai come in questi giorni ci si è sentiti Chiesa, cuori in apprensione per il nonno in stato febbrile. Nessuno si immagina cosa potrà riservare la prossima pagina di pontificato. C’è da credere che nei loro breafing giornalieri di questo si siano parlati: di quanto urgente sia non nascondere l’umano fragile nel nostro annunciare la salvezza. E’ nella nostra debolezza che Cristo continuerà a dimostrare la sua forza. Gli avvoltoi volteggiano, i lupi incalzano, la speranza continua a bollire piano come acqua nella caffettiera: tutto il resto apparirà sempre debole, come carta igienica fradicia. Pietro non molla, la storia non finisce qui: Deus semper maior.

(da Il Sussidiario, 24 marzo 2025)

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