Una, nessuna, centomila donne
Ogni giorno nascono sulla terra più di centomila donne. Alcune vivono qualche ora, qualche settimana, qualche anno; altre molti anni, anche cento se volete, poi tutte muoiono. E quando sono morte si allontanano tutte con moto rapido o lento, ma certamente inesorabile, dalla mente e dal cuore dei viventi.
E’ questa la legge della natura.
Già è raro chi pensi alla sua bisnonna o alla trisavola. Anche le donne superiori – che un giorno attirarono su di se sguardi, attenzioni ed entusiasmi – ora non destano più gli applausi di un tempo. La loro fama ha avuto un inizio, un decorso, un declino e spesso un tramonto. Anche i santi presso gli uomini hanno una storia e una fortuna.
Per tutte le donne è così.
Scusate, correggo il tiro: per tutte, tranne Una!
Essendo unica, mi son messo sulle sue tracce. Un po’ di fatica a trovarla perché a scuola mia, i professori discutono ancora se, dopo i giorni della Croce e del Cenacolo, sia rimasta a Gerusalemme, sia tornata a Nazareth o abbia seguito Giovanni nel suo pellegrinaggio d’apostolo. Di sicuro lei, ragazza e madre che abbiamo sempre contemplato in cammino, non avrebbe resistito a veder tutti gli apostoli partire dalla Città Santa.
Tu te la vedi sdraiata su un lettino in spiaggia, a russare in camera da letto, a vivere in un monolocale con angolo cottura mentre tutti gli altri si tirano su le maniche e sgobbano?
Io faccio fatica ad immaginarla così.
L’ultimo fotogramma. Poi scompare.
“Allora ritornarono a Gerusalemme ed entrarono in città”. Apostoli che partono…un sogno che inizia da un distacco! Chi? Giacomo di Zebedeo, il figlio del tuono, il primo ucciso da Erode a fil di spada. Ogni tanto Giovanni suo fratello, nelle fredde notti d’inverno, ne parla. Così come parla di Andrea, ucciso a Patrasso. Poi Bartolomeo, l’uomo trasparente colto da Gesù sotto l’ombra del fico. Poi Giuda Taddeo. Giacomo di Alfeo, Simone lo Zelota. E poi Matteo: anche loro partiti per viaggi senza ritorno. E poi Filippo, Tommaso, Pietro, Giovanni. E questa donna – perdonatemi se non riesco a bloccare la fantasia – che se li stringeva al petto, li accarezzava a lungo ogni volta che venivano a chiederle una benedizione. Li ha visti andarsene uno ad uno, e di molti non ha saputo più nulla. Dentro il cenacolo, ti pare di vederla raccogliere e custodire questi discepoli impauriti ma non rassegnati, proteggendoli con la sua tenerezza di madre. Sembra che sia lì a tenerli d’occhio, a far loro coraggio, forse ad interpellarli: “Come va? Come stai?”.
Con loro, guarda caso, chi c’era? C’era Maria! A dimostrazione che non ha mai disdegnato il domicilio della povera gente. Tutt’altro. Le moglie dei pecorai, per un panno cucito dalle sue mani veloci, barattavano con lei lane e formaggi. Le vicine di casa non s’accorsero mai del mistero nascosto in quella vita apparentemente così terra terra. Ne’ le contadine di Nazareth sperimentarono in lei quelle prese di distanza con cui spesso chi fa carriera mortifica i compagni di un tempo. Andava con loro al mercato. Tirava come loro sui prezzi. Usciva con le altre sulla strada – dopo gli acquazzoni d’estate – per arginare i torrenti di pioggia. E nelle sere di maggio risuonava nel cortile accompagnandosi ai cori delle antiche cantilene orientali, ma senza sovrastare nessuno.
E così, dai primi pomeriggi in cui se ne tornavano dopo una predicazione o un miracolo, divenne la mamma delle loro paure, delle loro rassegnazioni, la mamma dei marinai minacciati di naufragio, mamma dei viandanti sperduti nelle montagne, dei soldati che perdono sangue, dei figli senza più volti di madre, madre delle madri senza figli, degli uomini senza più casa, ne pane, ne Dio. Madre di chi non è capace più di sognare.
Successe tutto sulla riva del mare, davanti ad un capitello: fu amore a prima vista. Forse perché la considerazione della donna a casa mia è sempre stata altissima, forse perché sin da bambino ho sempre collegato la bellezza al viso della donna, forse perché quella vecchia signora me ne parlava con un sorriso bagnato di lacrime. Ti chiedo scusa, ma non so dirti perché mi sono innamorato di Lei. Sta di fatto che quando a cinque anni mia nonna mi parlò per la prima volta di Maria rimasi esterrefatto. Da sempre mi stregava quello sguardo splendido, quella semplicità disarmante, quegli occhi ubriachi di dolcezza, quella seduzione delicata e austera. Mi colpiva la sua bellezza naturale, quell’assenza di trucchi, smalti e incantesimi. Non capivo la scritta scolpita nella pietra. Era in latino e non ero ancor buon intenditore. Più tardi capii il significato: “Totus tuus”. (“Tutto tuo”)
E io, che di amori tra le donne per scelta non ne annovero, a volte devo stare attento quando penso a Maria perché la sento troppo vicina a me, perché è diventata la mia compagna inseparabile compagna di viaggio. Certe sere mi sembra quasi di toccarla da quanto m’è diventata familiare, di carezzarla. Questa donna su di me ha una potenza incredibile, solo il volto di Maria riesce a rasserenarmi. E io quel nome, quel volto l’ho stampato ovunque. Da bambino scrivevo una “M” maiuscola sui miei quaderni di scuola. Prima di uscire da casa davo un bacino alla statua ch’era sopra il comodino. Quand’avevo paura stringevo la medaglietta sulla catenina dove c’era il volto di Maria. Quando a casa si litigava scappavo nella mia camera e la guardavo. Da ragazzo scrissi il suo nome sotto il contachilometri della mia bici. Sulle salite una sua immagine era l’unico motivo di distrazione. Sul treno per Padova, la domenica sera, parlavo con Maria per uccidere la nostalgia di casa. Espulso dal Seminario non tornai a casa, ma di corsa scappai a Monte Berico piangendo. Dopo due giorni mi riammisero e divenni prete. I miei professori, illustrissimi “voltafacce” di Maria non me ne hanno mai parlato: presi un testo ebraico, bussai alla porta di un professore geniale, lo snocciolai parola per parola e in due anni e mezzo scrissi la mia tesi su Maria di Nazareth. Fu la consacrazione di un Amore. Da prete sto esagerando con questa donna. Ho voluto inciso il suo volto sul calice che mi ha regalato la nonna, la prego con il rosario ogni giorno finché corro sull’argine da solo. Alla sera, sotto le coperte, la guardo appesa sul mio letto e vicino a lei piango, m’arrabbio, mi confido, mi sento forte, piccolo, affettuoso, tenero. Non passa mattino che durante i campiscuola non le riservi il primo sguardo ancora dal cuscino.
Non importa se per te tutto questo è esagerato. Pensa pure come vuoi. Io so solo che su tutti gli “incroci” pericolosi della mia vita, una donna m’ha preso per mano e mi ha sempre accompagnato con delicatezza, affetto e amore di mamma. E sono orgogliosa che Lei, ragazza incredibilmente amante del rischio, conosca tutto di me. Conosca il prete che sbraita e piange, che fa il duro per non lasciar trasparire la commozione, che si sente sicuro e pauroso, piccolo e gigante, debole e innamorato, burbero e tenerissimo, spinoso all’inverosimile ma con una carezza sempre pronta tra le dita. Un bambino – prete che ogni volta che la guarda sa solo dirle tre parole: “Ti voglio bene, Maria”.
Maria nel Vangelo parla quattro volte. Di Maria si racconta pochissimo: Matteo, che con Luca ne parla più a lungo, le dedica 17/1068 versetti. E’ una sorpresa: di suo dice solo una manciata di frasi eppure il mondo s’è aggrappato al suo coraggio! Conosco molti che non pregano suo Figlio e sono innamorati di Lei, a Lei fanno di nascosto propositi grotteschi e disperati. Ho intravisto sul collo di prostitute e di furfanti la medaglia con la sua immagine, sulla pelle di bestemmiatori da trivio tatuata la sua figura a mani giunte. Ho udito milioni di volte il suo nome sulla bocca di tutti gli uomini e di tutte le donne che conosco:per ira, per stizza, per sorpresa, per una buona o cattiva notizia, per uno che cadeva e poteva essersi fatto male, per una morte o per un nonnulla. Sempre e solo il tuo nome, Maria!
Donna bellissima
L’ascoltavano, ma a giudicare dalle tele dei pittori e dalle musiche dei compositori, dalle poesie di Dante e Peguy alla cattedrale di Notre Dame a Parigi, sentendo parlare di lei Anselmo d’Aosta e Bonaventura da Bagnoregio son sicuro che Maria era anche una donna bellissima. Se un figlio s’innamora dei rami degli alberi quando diventano teneri, dei tramonti rossi che promettono giornate serene, delle albe cupo che attendono burrasca, del volo degli uccelli e delle danze dei fiori sul prato da qualcuna avrà pur imparato.
Qualche sera, vinto dalla nostalgia, chiedo permesso agli apostoli, m’addentro nella Scrittura Sacra e siedo anch’io accanto a Maria vicino al pozzo. La luna allaga il cielo e fa splendere i suoi capelli d’argento. Il peso degli anni le ha appena incurvato le spalle, ma gli occhi profondi son sempre quelli, e lasciano trasparire la scia di una bellezza intramontabile. Il profumo che sale dagli aranceti, la brezza che si leva da Oriente, gli ulivi che tramano di felicità come il velo di una sposa spingono alla memoria versi di quel bellissimo poema che s’intitola Cantico dei Cantici: “Chi è questa che sorge come l’aurora, bella come la luna, splendente come il sole, terribile come un esercito spiegato?”. Si capiva dalla sua eleganza che per lei essere donna era affascinante: un’avventura che richiede un tale coraggio, una sfida che non annoia mai – come direbbe Oriana Fallaci.
Ad essere sinceri il vangelo non dice nulla del volto di Maria. Come, del resto, non dice nulla del volto di Gesù. Sai, forse è meglio! Così a nessuno di noi viene tolta la speranza di sentirsi dire un giorno, magari da un viandante di passaggio: “Lo sai che rassomigli tutto a tua madre?”. Maria, comunque sia, dovette essere bellissima. Io non ti parlo solo della sua anima: limpida al punto che il Figlio si specchiava volentieri. Parlo del suo corpo di donna. La teologia, miseria, quando arriva qui si blocca, sembra quasi sorvolare sulla sua bellezza. La lascia celebrare ai poeti, musicare ai musicisti, pennellare dagli artisti, elogiare dal popolo. Ma la teologia non va oltre. Non si sbilancia. Tace sulla bellezza di Maria. Per pudore? Per rispetto? Forse perché preoccupata di ridurre l’incanto di lei a delle sembianze umane… Eppure il Vangelo è chiaro sulla sua bellezza. L’angelo la dichiara checaritomène nel primo annuncio. Che in italiano letterale si tradurrebbe con “graziosissima”, “piena di grazia”.
L’altra sera mi son chiesto: “Cos’è bello?”. Bello: un ciliegio vestito di bianco, un capriolo che sbuca dal sentiero, il volo di un’aquila nel cielo, il nitrito di un cavallo d’estate, un tramonto a Cima Bianca, una messa diversa. Bello? Il viso di una donna – di un uomo, un vestito sportivo, un orologio Breil, un viaggio a Zanzibar, le reliquie dei Maya sulla costa messicana. Bello? Un sogno, una storia, un ideale capace di coinvolgerti. Poi un gesto, una lettera, un sms. Un incontro, la stretta di mano, un abbraccio.
Di più! Bello è vederti allo specchio con le orecchie a punta ma sentirti capace di ascoltare, vederti con le mani gonfie ma saperti capace di modellare il ferro, scoprirti brutto ma contento di saper dipingere, conoscerti orso sentendoti un agnellino. Bellezza è magnificenza. Incanto. Fascino. Attrattiva. Avvenenza. Appariscenza. Grazia.
Bello è ciò che ti toglie il fiato, è provare l’ebbrezza d’essere di fronte ad un capolavoro e sentire le vertigini dentro, il respiro che manca, la povertà delle parole, la follia. E allora la bellezza diventa splendore. Splendido è essere prete, innamorarsi di Cristo, prendere in braccio una persona e farle provare la sensazione di essere dentro il Vangelo, di essere uno dei personaggi, di sentire il rumore della polvere ad Emmaus, il grido di Cristo a Betania, il sospiro di Maria nel sepolcro vuoto. Splendido è essere mamma, papà, fratello!
Splendido è essere in pace con se stessi! Splendido è sentirsi dire “Sei bellissimo” senza che ti vedano. Solo dalle parole!
Non la vedevi mai sedersi su una panchina con l’avviso “Verniciata di fresco”, ma accompagnava i suoi occhi dappertutto. A scuola t’insegnano che la bellezza non fa le rivoluzioni. Ma verrà un giorno in cui le rivoluzioni avranno bisogno della bellezza
Capisci perché aveva ragione Victor Hugo quando disse che “se Dio non avesse fatto la donna,/ non avrebbe fatto il fiore”?
Donna vera
Bella perché semplice. D’altronde Dio, finissimo intenditor di bellezze mozzafiato – se l’era scelta apposta là: nei rioni popolari, grevi di sudore, impastati di concime. Nei quartieri bassi, dove le catapecchie dei poveri, se rimangono ancora in piedi, è perché si appoggiano a vicenda. Nei vicoli profumati di minestrone e allietati dai rumori dei fruttivendoli. Tra le fanciulle che parlavano d’amore. Nel cortile dove i vicini prolungavano nello sbadiglio l’ultimo racconto della sera. Non aveva particolari discendenze dinastiche. Anna e Gioacchino non vantavano stemmi nobiliari come il casato di Giuseppe. Lei era una donna del popolo! E i discepoli l’ascoltavano, ne rimanevano sedotti, pendevano dalle sue graziose labbra di madre innamorata. Forse avevano un po’ di paura, anche. Paura, perché sto scoprendo che gli uomini hanno paura delle donne. Una paura che viene da lontano. E non è solo paura del corpo, del volto, del cuore della donna. E’ paura della vita, è paura di Dio. Perché tutti e tre – la donna, la vita e Dio – sono vicini. Gli apostoli avevano capito che la differenza tra loro e Maria non era di sesso (dodici maschi più Uno e una sola Donna), ma di posizione: gli apostoli a Gerusalemme avevano un posto, una posizione. Maria, come tutte le donne, non occupava nessun posto: era costantemente sballottata nell’amore. Chiamava, chiamava, chiamava! Hai mai fatto caso? Nelle feste c’è Lui. Nelle vigilie, al centro, c’è Lei. Discreta come la brezza d’aprile che ti porta sul davanzale della finestra il profumo dei rododendri e dei narcisi. Quasi volesse prepararti l’irruenza della bellezza. Come a Pasqua. Quando sul Golgota il vento spegne tutte le lampade, rimane accesa solo la sua lucerna. E io, pregando il mattino di Pasqua nella mia stanza, me la vedevo correre dappertutto con questa lucerna tra le mani per dirti di aspettare prima di arrenderti. E, se la guardavo, mi sembrava quasi di sentire già le campane che iniziano a suonare spinte dal vento, il mare che brontolava sotto la scogliera preparandosi per la Risurrezione. Mi sembrava di sentire gli animali del bosco che si stavano allenando ad ululare il loro concerto. Mi sembrava d’intravedere l’angelo guardarsi allo specchio per postare le bianche vesti, le tombe che si screpolavano. Nei suoi occhi, gli occhi di una madre distrutta ma tenace, sentivi la vita che stava azzerando la morte!
Cresciuto a pane, giochi e briciole di sogni m’avvertivo sempre più geloso, sofferente nel cuore, malinconico sul volto. T’avrei voluta tutta per me! Invece, sfogliando i libri di papà, vedevo che per corteggiarti gli uomini sembravano inventarsi follie: cattedrali di marmo e chiesette di montagna, l’esagerazione di Notre Dame e la maestosità di Chartres. M’arrabbiavo quando tra i corridoi di scuola, durante la merenda, sentivo Simone che parlava di te assieme a Duccio di Buoninsegna, Cimabue, Gentile da Fabriano, Lorenzetti, Giotto e Beato Angelico. Non potevo nemmeno vedere Raffaello, Tiziano e Leonardo da Vinci: con i colori sembravano voler trafugare la mia donna. Loro con i colori: Rossini, Verdi, Perosi e Schubert sistemando delle note su di un pentagramma. Come se non bastasse, passeggiando su vecchie mulattiere con il mio nonno, sentivo che, tra compagni di guerra, si rilanciavano una frase: “Su le nude rocce, sui perenni ghiacciai, su ogni balza delle Alpi ove la Provvidenza ci ha posto a baluardo fedele delle nostre contrade…”. Come se non bastassero i poeti, pensavo tra me! Anche gli alpini poggiavano gli occhi su di te. Più ti guardavo, più m’ingelosivo, più m’innamoravo. Papà mi diceva che di te provava paura il dittatore Tito, il governo ungherese, polacco e russo. Chiedevano di te i musulmani in Mozambico (tra l’altro: ogni giorno ancor oggi t’inviano “per raccomandata” la XIX sura del loro Corano). Ti volevano in Inghilterra, negli Stati Uniti d’America: i cristiani separati, gli scismatici, i protestanti. Andavo a catechismo e incontravo gente che per te avea perso il senso della misura, gente che giocava con le parole: Ambrogio di Milano, Agostino d’Ippona, Basilio di Cesarea, Cirillo, Gregorio Magno, Anselmo d’Aosta, Tommaso d’Aquino, Bonaventura da Bagnoregio! Ne controllavo uno, se ne presentavano dieci: e tu eri sempre più bella! Eri umile e alta, eri “più che creatura” (D. Alighieri).
Un giorno t’incontrai da sola a danzare tra le pagine di un vecchio libro chiamato Scrittura Sacra: emergevi come una Venere dalle altezze del cielo, passeggiavi tra le fontane e le viuzze della tua Galilea. Colsi l’attimo. Chiesi d’entrare nel tuo cuore: sapevo che da là nessuno m’avrebbe più fatto paura. Tu accettasti. Da quell’istante tu non sei più stata tu. Non sei più stata Maria di Nazareth. Per me sei diventata la Bellezza!
150 anni t’han visto colorare il cielo di Lourdes, impreziosire i sogni di Bernardette Soubirous. Lourdes era un pugno di case, fra povere terre, colli pirenaici, sentieri sconnessi e campi sterminati. Son passati 30 lustri ma il peso degli anni non osa incurvare le tue spalle. I capelli son quelli di sempre: argentea ti fece tuo Figlio. Gli aranceti profumati, gli ulivi tremolanti e le stelle parlano di Te. Sulle nude rocce o nel calore degli Inferi! Sempre e solo il tuo nome!
Tu forse ti stai chiedendo: “Ma almeno s’accorgono quando sono vero?”. Presta attenzione? Diecimila santuari in cinque continenti, 60 milioni di pellegrini all’anno (musulmani compresi), duecentomila libri su di lei, da due millenni è il volto femminile per eccellenza, due milioni di persone ogni giorno si sintonizzano su Radio Maria, il network mondiale di stazioni dedicate a Maria, la bandiera dell’Europa s’ispira alla “corona di dodici stelle” che nell’Apocalisse (12,1-18) circonda Maria il cui manto è azzurro. La nazionale italiana veste azzurro, derivazione del colore dei Savoia che, a sua volta, era stato scelto per la bandiera della futura casa reale da Amedeo IV, devoto di Maria. Cerca su google.it la storia della Mercedes: scopri come c’ha messo mano Maria. Sull’impero di Maria non tramonta mai il sole.
Ma s’accorgono quando sei vero? Vedi tu.
Siamo ai limiti dell’Eterno, nell’anticamera della Bellezza, sul davanzale che ti spinge nell’Immenso. Pensa! Dio per umanizzare la terra si serve dell’uomo, senza molto riuscirci. Per umanizzare l’uomo vuol servirsi della donna: nella certezza che stavolta non fallirà! “Raccontaci, Maria – s’interroga la liturgia in un’antica sequenza -: che hai visto sulla via?”. E lei, donna che non sa più trattenere la speranza, esplode: “La tomba del Cristo vivente, la gloria del Cristo risorto… Cristo mia speranza è risorto; e vi precede in Galilea”.
La mamma: anche il nonno la invoca
Dicono gli esperti che, sul punto di morire, dalla nostra mente scompaiono tutti: i figli, il marito, il padre, gli amici, i soldi… In quell’ultimo istante, raccogliendo le forze rimaste, il cervello mette a fuoco soltanto lei: la mamma. Non so se tutto questo sia vero. So però di aver assistito alla morte di un vecchio, reso duro dalla vita, carico di rughe e di fatica che, morendo sussurrò: “mamma”. D’altronde, quando avvertiamo un pericolo improvviso, l’istinto ci fa gridare: “mamma mia!” Hai mai visto la pubblicità? Madri che sono in attesa con il loro commovente pancione, madri che puliscono sederini, che spalmano cioccolata e formaggini, che scelgono prodotti genuini, che comperano carte igieniche morbide e tonni teneri che si spezzano con un grissino, che lavano con gioie le magliette zozzissime del marito, che stendono al sole lenzuola più bianche di quelle della vicina, che strofinano pavimenti fino a potersi specchiare, che seguono con occhi lucidi i figli che si sposano, che controllano se le nuore sanno cucinare la carne in scatola. Anche i cantanti, quando vogliono andare a colpo sicuro, compongono canzoni sulla mamma.
Non so se Edmondo de Amicis, lo scrittore del libro Cuore, conoscesse Maria di Nazareth. Di certo il volto della sua mamma lo conosceva. E, allora, conosceva anche il volto di Maria perché nel volto di ogni donna c’è un frammento di bellezza. Poi guardi Maria, la Mamma per eccellenza, e non sai fermare sulle labbra una domanda “da bambino”: “Maria, da uno a dieci: ma quanto bella sei?”.
GOD BLESS YOU
Buon mese di maggio!