Come delle camere disordinatissime, di quelle che fanno impazzire la dolce premura delle madri indaffarate. Dentro quel disordine, però, c’è un capitale umano di smisurata grandezza: frammenti di spiritualità e di umanità, brandelli di altruismo e di fratellanza, gocce di sogni e di passione. Quel disordine ai più arreca oppressione e tristezza, eppure è là dentro che s’annida un concentrato di vita che non teme rivali: basterebbe registrare i piccoli dettagli della vita umana. Perchè da quando esiste l’arte, vale il “teorema di Michelangelo”: un capolavoro tu lo riconoscerai dai particolari, ovverosia dal senso delle cose più piccole che li compongono.
Nove mesi fa: sembra quasi si parli di un secolo e qualche stagione addietro. In quel tempo c’erano i sogni e le aspettative: si varcava la soglia dell’aula scolastica con uno zaino di buoni propositi e di pesato ottimismo, con cucito addosso il vestito delle grandi occasioni e lo sguardo assorto di chi è in fronte ad un mistero, a metà strada tra la titubanza e la certezza. Adesso, dopo nove mesi, lo zaino sarà appesantito e lo sguardo un po’ meno meravigliato: ogni soldato che torna è sempre un uomo diverso da quello che è partito. Nessuno amerà raccontarlo, ma per tanti dei nostri ragazzi questo sarà stato l’anno decisivo della loro esistenza di uomini e di donne; e tutto sarà partito magari da un piccolissimo dettaglio che solo gli occhi di un innamorato saranno stati capaci di cogliere. Smarriti come naufraghi nei massimi sistemi – tutti tesi a inventarci nuove strategie per tenere a bada le classi disorganizzate – ci siamo persi l’essenziale, ovvero quel piccolissimo particolare che ha cambiato la vita di uno studente; magari di quello sul quale nessuno avrebbe scommesso una lira nove mesi fa. Eppure è bastato poco più di nulla e lui è partito: la passione nello spiegare un paragrafo di Erasmo da Rotterdam, l’emozione che trasaliva nel mentre si decantavano le gesta di Frà Cristoforo, la luce che germogliava negli occhi del prof mentre recitava il “M’illumino d’immenso” di Ungaretti. Oppure la convinzione di colei che nel mentre ti spiegava ciò che rese celebre Pitagora – il suo famoso teorema – ti dava la sensazione che la sua fosse davvero la materia più importante, quella che valeva le mille notti insonni passate a familiarizzare con triangoli e cateti. Per non parlare di quell’omone gigantesco e spavaldo che, sogni alla mano, ti parlò di quel Dio ai cui occhi la giovinezza arreca gaiezza e sorpresa: sono le mattine di cui serbi ora gelosa memoria.
Al suono della campanella, sabato per tanti sarà la fine di un anno; per qualche altro sarà semplicemente l’inizio perchè nella vita di un giovane ogni arrivo non è altro che una nuova ripartenza. Nove mesi da seduti per preparare tre mesi in piedi: da giovani è sempre sproporzionato il tempo dell’apprendimento da quello dell’azione. Anche l’Uomo di Nazareth passò più di diciotto anni di silenzio – tra bottega, trucioli e immagini – prima di parlare tre soli anni: diciotto a tre, sei anni di silenzio per prepararne uno di parole. Quelle parole, però, dettero al mondo la sensazione che quell’Uomo c’avesse azzeccato qualcosina in quanto a verità. Dicono sempre di imparare dai migliori: imparate da Cristo – che è una cosa diversa dal dire “imparare dai preti” – per diventare uomini e donne capaci di fare della vostra giovinezza un capolavoro capace di scompigliare le aspettative dei sapienti. Perchè a scuola avrete sentito parlare di ciò che Archimede andò cercando per anni: cercava un punto d’appoggio per sollevare il mondo. Voi, forse, cercate l’ultimo dettaglio che vi permetta di mostrare come il mondo lo sollevereste per davvero, con la convinzione che, dopo tutto, certe ore di scuola non siano state poi così inutili. Sono state ore d’azzurro in una cronaca che tutti volevano tempestosa.
(da L’Altopiano, 8 giugno 2013)