Tutt’intorno: compatti, schierati, degli uomini. Tanti. Al centro, una sola. Donna, probabilmente ancora ragazza. Ha negli occhi sogni acerbi – che ora vede infranti – e tanta paura. Le pietre serrate nelle mani non atterriscono quanto gli sguardi torvi, che la passano da parte a parte, mentre le grida disordinate la stordiscono. Trascinata dove non voleva, forse per la semplice colpa di aver cercato di sottrarsi a un destino non scelto, a un’opzione a carico di altri, che però riguardava la sua, di vita.
Approfondendo il testo evangelico1 nel suo contesto storico si scoprono dettagli interessanti. La tradizione comune collega questo episodio all’infedeltà coniugale, ma alcuni esegeti avanzano un’ipotesi diversa, basata su uno dei precetti contenuti nel libro del Deuteronomio2, cioè che si tratti non di una moglie bensì di una fidanzata: questo comporta, dunque, un’età ancora più precoce per la colpevole da punire con la morte, che sarebbe stata una ragazzina promessa, molto probabilmente a un uomo maturo (com’era d’uso all’epoca). L’usanza dei matrimoni combinati è quasi del tutto estinta nei paesi occidentali da pochissimo tempo, ma ancora molto attiva nei paesi islamici e (non solo); proprio la Chiesa fu la prima a tentare di arginare tale fenomeno, com’è testimoniato dal sesto capitolo dei Promessi Sposi (pur essendo un romanzo, mette in luce una reale legge del diritto canonico – quella secondo cui bastavano due testimoni, oltre agli sposi, perché il matrimonio fosse valido – che è volta proprio a favorire la libertà di chi contrae matrimonio). “Regolamentare” l’amore è in un certo modo necessario e la presenza di matrimoni combinati non era solo dettata da motivazioni economiche: la donna è sempre stata considerata l’anello debole della società (cioè da proteggere), se non altro per ragioni prettamente fisiologiche; al contempo, però, essa ricopriva un ruolo–chiave non solo nella mera procreazione dei figli, ma anche e soprattutto nell’educazione delle nuove generazioni. La donna era chiamata a garantire la protezione e la solidità del nucleo familiare, oltre che la continuità della discendenza. Questi sono i motivi che spiegano (ma non necessariamente giustificano!) l’asprezza delle punizioni riservate nell’antichità (ma non solo!) alle donne che si macchiavano di questa colpa, in stridente contrasto con la quasi totale assenza di provvedimenti verso gli uomini colpevoli dei medesimi reati. Innanzi tutto, a mio avviso, l’infedeltà sarebbe da ascriversi principalmente come un mancato adempimento del quinto comandamento (“non dire falsa testimonianza”), perché si tratta della rottura di un patto di fiducia (anche nel caso in cui tra i due non ci siano documenti scritti a prova di ciò): per tale motivo, il tradimento si consuma in realtà ben prima che possa essere colto in flagrante. In seconda battuta, si tratta senz’ombra di dubbio (direi che è un dato di fatto!) di una colpa che non è mai completamente solitaria, perché richiede la complicità di una terza persona.
Chiusa questa lunga (ma doverosa) parentesi storica, l’interpretazione del fidanzamento sottolinea l’autoaccusa degli astanti. Una ragazzina ha ancora sogni, speranze, crede nell’amore vero, spesso si lascia ingannare e, magari, il suo era proprio un tentativo di ricerca di libertà, per assecondare i propri sentimenti. Probabilmente, possiamo anche notare che il suo compagno non dovesse essere esattamente un cuor di leone, poiché non è neppure menzionato e dunque pare non si sia particolarmente indaffarato per difenderla. Ma del resto… non ricorda forse tante storie simili, che accadono ancora oggi? Non sono necessariamente solo al femminile; spesso, nelle storie d’amore è solo uno dei due a crederci davvero: nel momento della difficoltà, si ritrova da solo, con un sogno spezzato. Forse, tante storie finite non erano mai realmente iniziate, perché ci aveva creduto solo uno dei due elementi della coppia.
Raggruppate tutte le ragioni (o, meglio, le “attenuanti”) a favore di quest’adultera sorpresa in flagrante, resta da capire la risposta di Gesù (“Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”) alla domanda che gli è posta. Da un lato, il suo atteggiamento denota che avrebbe preferito evitare del tutto di intervenire: mostra un distacco vicino al disgusto, probabilmente perché era perfettamente consapevole che chi lo interrogava non lo faceva per amore del bene o della giustizia, ma cercava solo di farlo cadere in contraddizione, per assicurarsi nuovamente quell’autorevolezza da cui si era sentito spodestato con l’arrivo di questo nuovo Maestro, da una città sperduta della Galilea, com’era Nazareth.
Il dito scorre nella sabbia, traccia un solco: quasi a voler prendere le distanze. Alcuni azzardano che scriva i peccati degli accusatori: personalmente, lo riterrei un po’ sensazionalistico, di sapore hollywoodiano e – quindi – distante anni dallo stile che caratterizza Gesù nel suo incontrare le persone. Piuttosto, sembra quasi un diversivo per prendere tempo, per calcare il silenzio che si era creato intorno, silenzio d’angosciante attesa; forse, è un tentativo per indurre a riflettere, ad andare oltre la banalità di consuetudini e tradizioni, di leggi sterilmente applicate, senza la capacità di uno sguardo di misericordia che possa creare legami di fraternità tra tutti gli uomini. Alcuni ritengono che la posizione del Cristo non sia sufficiente, che sia “troppo diplomatica”. Inviterei a riflettere su due aspetti. Innanzitutto, sta parlando con ebrei osservanti, per cui è evidente che non sarebbe mai stato possibile mettere in discussione (e ancor meno abolire) la legge mosaica, senza fargli perdere affidabilità ai loro occhi; secondariamente, la contrapposizione che si crea in questo modo è ancora più esplicita e sostanziale: come con il dottore della legge3 che dà il la alla parabola del Buon Samaritano4, con dolce fermezza, sottolinea che il punto di vista è sbagliato, la domanda è sbagliata. Invita ad avere uno sguardo diverso: più umano, perché più vicino allo sguardo di Dio. Arrivati come giudici, gli accusatori sono saliti sul banco degli imputati. Hanno voluto mettere in mostra la colpevolezza altrui (portando la donna nel mezzo, per esporla agli sguardi di scherno e disprezzo), si ritrovano ora incapaci di nascondere le proprie colpe al proprio sguardo. La loro coscienza è stata risvegliata dal brusco intervento di Gesù, che l’ha ridestata dalla trance accusatoria in cui era caduta.
Ci identifichiamo a volte troppo frettolosamente con l’adultera, che vediamo come una vittima e – dunque – non offende il nostro amor proprio. Ma, se siamo onesti, l’accostamento più realistico è con gli accusatori: ci riguarda ogni qualvolta usiamo parole come pietre, che sono poi come proiettili di fango, scagliate con l’intenzione – più o meno dichiarata – di salvaguardare la moralità. La realtà, però, è un’altra: i nostri occhi, allungati come un periscopio sulle vite altrui, sono spesso un alibi per evitare di vedere i propri errori!
Lettura consigliata: A. PRONZATO, Le donne che hanno incontrato Gesù, Gribaudi, 2003 (capitolo Una donna scampata alle pietre).
1 Vangelo di Giovanni 8, 1 -11
4 Lc 10, 30 – 37