L’elevatura è di una bellezza insuperata. E’ stato così grande, così santo, che l’aggettivo qualificativo della santità – “santo” – ha finito per oscurare il nome di battesimo: non più sant’Antonio ma “Il Santo dei miracoli”. Il-Santo per antonomasia. A Padova il Cielo causò ad Antonio, nato a Lisbona, una sorta di trasfusione: lui innestò in città il sangue della profezia, la città gli tributò la cittadinanza. Il Santo e la città: la “Città del Santo”. Sangue-foresto è cagione di collera in terra veneta: grazie al sangue foresto – Antenore, Antonio, Giotto – Padova ha scritto pagine d’arte, di storia e di fede. Ogni anno, per il Santo, bloccano l’intera città il 13 di giugno: per un senso di riconoscenza, per impetrare una grazia, per strappargli un’altra promessa. Lui, ch’è santo, ascolta e valuta: che nessuno ne approfitti del Cielo.
Ogni santo è un po’ anche burbero: fare i conti con l’irruzione del divino in una storia umana procura solitudine e incomprensione. Anche impazienza per tutta la gente che gli si ferma davanti: “Non è per me, è per quello che ho dentro che mi invocate!” Che non facciano confusione tra lui e Dio. La gente prega i santi, la Madonna: fa fatica a pregare Cristo. Quaggiù si ha estremo bisogno di gente in carne-e-ossa, mentre Dio è troppo astratto per qualcuno. Di un santo, invece, ci si fida di più: si può intervenire concretamente, sembra di toccarlo, non si prova vergogna a confidargli miserie, schifezze. Un santo, però, si pensa due volte a strattonarlo, tirandoselo dalla propria parte: i santi sono proprietà privata di Dio. Nessuno, quest’anno, si è permesso di citare Antonio in qualche comizio: le sue parole rimangono dardi infuocati, ancora ustionano, è materia di alta tensione. Arrivò a Padova a 32 anni e in quattro anni mise a ferro-fuoco la città: nessun sconto, nessun raggiro, fu voce che scoperchiò soprusi, villanerie, ghigliottine. L’uomo foresto aiutò gli uomini a farsi fratelli, come Giotto insegnò alla città a farsi bella. Entrambi pittori, Antonio e Giotto: dipinsero la miseria.
Un giorno, poi, il Santo toccò un nervo scoperto: la galera. Nessun politico, in campagna elettorale, tocca nervi scoperti, quelli collegati al cervello: saranno le pance, stamattina, a rigare la scheda elettorale. Lui, invece, sfidò il podestà, intercedendo per le vittime dell’usura. A quel tempo, chi non riusciva a pagare gli interessi veniva condannato come debitore a vita: dritto in galera, dopo esser stato lasciato penzolare finchè si slogassero spalle, braccia. Antonio intervenne. Sfidò il podestà e vinse: il debitore senza colpa non finiva più in galera ma doveva dare i propri bene in contropartita. In carcere Antonio è nome-familiare. Questa notte, confusi tra la folla, una decina di persone detenute ha percorso il Cammino di Sant’Antonio. Quella stessa folla che, sentendo le notizie su di loro, grida: “Li avessi davanti, farei giustizia!” Nessuna rissa, invece, stanotte. Anche questo è vedere il Santo all’opera: “Se volete venire a trovarmi, o ci arrivate tutti assieme o statevene a casa vostra”. I santi-popolari di oggi son gli uomini impopolari di ieri, ossi duri: per questo non è gente facile da strattonare.
(da Il Mattino di Padova, 26 maggio 2019)
(Immagine: “S. Antonio e il cuore dell’avaro”, Francesco Vecellio (attribuito), 1511–12, Scuola del Santo, Sala Adunanze)