capuccinobrioche

E’ una delle mie scene preferite. Si ripete il quarto mercoledì del mese in una delle pasticcerie più chic della città in cui vivo. Là dentro, incastonate nella bellezza sfavillante dei loro gioielli, siedono donne di città. Donne che possono anche permettersi d’attendere l’ora del pranzo condividendo pensieri, pettegolezzi, affinità. Quando varcano la porta, il loro profumo ne ha già annunciato l’arrivo: tra quelli di Gucci, di Christian Dior e di Chanel c’è solo imbarazzo della scelta. In quella pasticceria ci sono quattro tavoli, con le sedie rigorosamente comode: sono prenotati a tempo-indeterminato. Coloro che entreranno dovranno accontentarsi di un cappuccino e di una brioche appoggiati al bancone del bar. Tutti, eccetto uno: il sottoscritto.
Qualcuno direbbe che sono il solito raccomandato. Assolutamente: sono figlio di un operaio (a suo tempo disoccupato) e di un’impiegata leggermente sovrappeso, senza suv e senza tacchi. I miei nonni lavoravano la terra, le mie nonne ricamavano al chiarore di luna. Perchè, allora, questo trattamento di riguardo quando entro in pasticceria? Perchè ci arrivo scortato da tre uomini: Costantino, Aka, Beniamino. Uno è arrivato col gommone, l’altro è entrato in Italia nascosto sotto il vagone di un tir, l’ultimo non so nemmeno da dove spunti fuori. Il quarto-mercoledì è la nostra mattina: ci troviamo anche noi per una “colazione di lavoro”. L’appuntamento è proprio nella pasticceria più chic della città: magari per un solo attimo ma ogni povero ha il diritto di sentirsi signore. Prima di entrare appoggiano i loro cartoni (ops, scusate, i loro letti) fuori, si specchiano un istante nel vetro per sistemarsi i capelli impasticciati, poi mi seguono. Le nobildonne vengono anticipate dai loro profumi, i miei tre amici vengono anticipati dai loro odori: di vestiti madidi di sudore, dell’odore di marcio dell’umidità di strada, di chi ha sulle occhiaie il peso di notti senza dimora. Odorano un po’ di tutto: di pesce, di carote, di succo d’arancia, di pioggia, di sporco, di mercato. I loro odori sono insopportabili. Entriamo che la pasticceria è strapiena di gente affamata e profumata. Non c’è un posto a sedere. Anche noi ordiniamo: “Quattro cappuccini-e-brioche, signora. Grazie”. Stiamo in piedi, al bancone: i poveri sono di una discrezione imbarazzante. Chiedo scusa ad un’avvenente signora: uno di loro ha lambito il suo abito con la punta delle scarpe. Lei mi ha fatto capire che questo non è un posto per gente-così. Siamo stati in piedi per pochi attimi: dopo qualche istante si è liberato improvvisamente il tavolo più grande, quello riservato alle nobildonne. Non è stata gentilezza, è che quell’odore acre di uomini notturni le ha infastidite: “Piuttosto che respirare questo odore, stiamo in piedi”, ha bisbligliato una alla vicina. Così noi, senza chiedere nulla, da quella mattina appena entriamo abbiamo sempre il posto a sedere: quello delle donne bellissime che appena ci vedono, si alzano. 
“Che odore che sai, don” – mi dice una signora che m’incrocia poco dopo la nostra colazione di lavoro. Ho sorriso: non sapevo che dirle! Forse grazie per quel complimento-di-appartenenza che mi aveva appiccicato addosso: “Quella gentaglia che frequenti ti ha lasciato addosso il loro odore”, mi diceva. Sono passati mesi dal nostro primo appuntamento. Mercoledì’ scorso sono uscito da casa con i miei dieci euro in tasca: per me, per Costantino, per Aka e Beniamino. Sono arrivati in anticipo come sempre: la fame è una sveglia che t’impedisce persino di dormire. Abbiamo consumato la nostra solita colazione, sotto gli occhi stizziti di qualcuno: li posso capire. Tutto come al solito. Solo una cosa ieri mattina l’ho trovata diversa: sono uscito che avevo ancora i miei dieci euro in tasca. Non è che abbiamo rubato – qualcuno lo potrebbe dubitare visto la gente che frequento -; è che la signora alla cassa mi ha detto: “Già sistemato, don Marco”. Stupito le chiedo: “Posso ringraziare qualcuno?” “Assolutamente – dice lei -. Un signore mi ha chiesto di segnare le vostre consumazioni di questo mese”. Un po’ stranito sono uscito, con loro. Ho lasciato a Costantino le dieci euro con una raccomandazione: “Oggi accompagni i tuoi due amici alle Cucine Popolari e offri loro il pranzo”. Me l’ha promesso.
Gli altri due, con lo sguardo, avevano già fatto promemoria. La differenza tra la Croce e il Crocifisso è Cristo.

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