Don Giovanni parte ma non sa se un giorno tornerà. Parte perchè Dio chiede di spingersi altrove, di spostare la tenda, di condurre un altro popolo verso la Terra Promessa. Tornerà solo se Lui lo deciderà, perchè i tempi, le storie e i sogni sono proprietà privata di Lui. Assolutamente vietata la manipolazione genetica e intellettuale. Questo prete poco più che trentenne – assieme ad altri amici in partenza – conosce il rischio che firma. Tant’è vero che venerdì sera in Cattedrale non s’è visto consegnare il gagliardetto col leone, l’alabarda o la tessera degli “Amici del Muretto” ma il Vescovo gli ha messo sul collo un Crocifisso. A ricordare la dura e intrigante legge del cristianesimo: per vivere pienamente occorre morire a se stessi. E forse morire anche di fronte agli altri. Chi parte lo fa per una chiamata che s’inabissa così profonda nel cuore fino a toccare l’essenza stessa della fede. Proprio per questo in ogni missionario che parte c’è un potenziale martire che potrebbe tornare: non è questione di jella, di superstizione o di buona sorte. E’ che il Vangelo spande il profumo attraverso quelle ferite che molto spesso amano diventare feritoie attraverso le quali intravedere la vera follia di chi oggi non gioca al cristianesimo.
Una vita persa. Oppure una vita guadagnata? Difficile capirlo adesso. Ma non è che noi siamo ignoranti e non possiamo capirlo. E’ che Dio è sempre eccedente rispetto alla nostra comprensione. E anche quando si manifesta – per accendendere la nostra confidenza con Lui – lo fa sempre con la sua folgorante imprevedibilità, fino a renderci protagonisti di eventi la cui portata l’uomo scopre solo in un secondo momento. Dopo mesi, anni, sulla soglia della morte. L’importante è accettare il biglietto di partenza, anche se sul retro non c’è scritto la data del ritorno. L’uscita dal proprio paese – fatto di mentalità, stili e pensieri – è una transumanza che parte con Abramo, nelle prime righe della Scrittura Sacra, e arriva fino a noi per superarci e addentrarsi nel futuro. Si parte perchè si è convinti che un giorno morire nuovi di zecca sarebbe l’epigrafe più triste che si desidera lasciare ai posteri.
Quel crocifisso ci racconta la vita. E l’uomo divora chilometri per braccare la vita, mangia la polvere del sentiero, ne bestemmia la bellezza, cerca di prendersi confidenza con lei. Ma non ci riesce mai in pienezza perchè lei è il “troppo” che scoraggia e accende. Ti prende e ti sposta, ti trapianta altrove, ti pungola se ti fermi, ti massacra mentre la seduci, ti strega quando la maledici. Ma lei è bella, è la vita colorata da Dio: e tu rimarrai sempre un proletario di fronte a lei. Un proletario con un crocifisso sul collo: “ammazzateci tutti” ma Cristo non lo rinnegheremo mai. Perchè l’Amore chiede sangue per far fiorire la primavera.
Chi lascia la sua terra non è un santo, ma la sua terra un giorno potrebbe diventare la casa di un santo. Don Giovanni Olivato parte e un suo compagno resta: ma su entrambi pesa al collo il peso di quella Croce. Al primo spetta l’avventura su terre assetate di Dio e desiderose di Cieli nuovi e Terre nuove. Al secondo spetta ricordare di bere quando si pensa di non averne bisogno: perchè la disidratazione è una belva smaliziata. E chi mette Dio fuori dalla porta un giorno potrebbe trovarsi la gola secca. E chiedere acqua a squarciagola.
C’è chi parte e c’è chi resta: non cambia assolutamente nulla. Perchè nel Sud-America delle favelas o nel Nord-Est della “bea vita” Cristo rimane sempre una pietra d’inciampo e una fontana del villaggio. Perchè l’uomo impari a camminare e non muoia di disperazione.