I soldi non fanno felici e tanto meno aiutano a sorridere: per troppi soldi ci si può anche annoiare. Stavolta l’espressione – così cara al popolo nato povero per giustificare la sua situazione e al popolo nato ricco per tenere a bada l’indigenza del povero – non scende dal pulpito delle chiese e nemmeno dai comizi dei grandi leader dittatoriali, cosicché la si possa bollare come il solito luogo comune. Ma arriva dritta – sarebbe il caso di dire “come una freccetta” – dallo sguardo di Mario Balotelli, talento calcistico dell’Italia sportiva. Un emigrato (non immigrato, ndr) di lusso nella vasca delle sterline del Manchester City, capace delle più grandi gesta sportive e delle più infami macacate comportamentali. Nemmeno il buon Antonio Cassano ai tempi d’oro delle sue celebri cassanate era mai giunto a tale livello. La sequenza dei gesti extra-sportivi che in un anno ha portato alla gloria della cronaca Balotelli, è quasi da guiness dei primati: dalla maglia gettata con infamia sul terreno di Barcellona alla macchina distrutta perché non abituato a guidare “all’inglese”, dal dito medio ostentato in mondovisione alle frequentazioni con le escort nel piano sotto dell’appartamento dove stava la fidanzata (l’ennesima di turno). Dai litigi con il genio di Mourinho, ai diverbi con il maestro Roberto Mancini fino ai ferri corti con Cesare Prandelli, l’ultimo Geppetto che s’era arrischiato di riportare verso casa il Pinocchio della favola sportiva. L’ultima in ordine di tempo – dopo l’infame azione ai danni del giocatore della Dinamo Kiev – è la sintesi del Balotelli-pensiero: giocare a freccette tirandole non contro il celebre bersaglio, ma indirizzandole ai giovanissimi della sua squadra. Stavolta – al di là della stupidità umana cui c’ha abituato un talento dalla classe cristallina ma dal carattere ingestibile – a stupire non è tanto il gesto, ma la motivazione: “Mi annoiavo”. Così per sconfiggere la noia trattiamo i più piccoli come oggetti di gioco. Tanto io mi chiamo Mario Balotelli. Ma chissenefrega!
Chapeau, Balotelli. Già c’innervosiva di lui il fatto che mai un sorriso illuminasse il suo volto, nemmeno dopo azioni splendide: che per caso fosse l’ennesimo mercenario del goal che per guadagnare soldi tradisce le bandiere d’appartenenza? Se non lo fosse, l’impressione che il suo volto porge è quella di uno che non ama il suo sport, ma questa, perdonate la durezza, è una vigliaccheria doppia: perché sei fortunato a fare un lavoro che tanti sognerebbero per i guadagni che porta, ma allo stesso tempo il tuo atteggiamento non appassiona più il popolo sportivo. Chissà se il buon Cesare Prandelli avrà la pazienza di rimettere in piedi un calciatore così (ammesso che l’Italia del calcio abbia bisogno di lui): nel frattempo magari gli spiegheranno che non basta nascere col talento in tasca per entrare nella storia, perché il talento, senza l’applicazione e lo stile, non è nulla. Cosicché un ragazzo che l’Italia aveva con fatica imparato quasi ad apprezzare, quando dall’Inghilterra lo cacceranno finirà per essere fischiato ancor più forte dentro gli stadi di mezzo mondo. Ma stavolta – ne siamo certi – non sarà per il colore della pelle, bensì per il semplice fatto d’essere un maleducato animato dal sacro fuoco di diventare personaggio a tutti i costi.
Di questi esempi l’Italia sportiva ne fa certamente a meno. Tant’è vero che tra tutti i cervelli emigrati all’estero di quello di Balotelli pochi lamentano la mancanza. Forse perché, al di là di qualche rara prodezza atletica, abbiamo capito due cose: a) di troppi soldi ci si può anche annoiare, b) non basta un goal per fare di un maleducato un esempio di civiltà da proporre ai nostri giovani aspiranti campioni. Gli intelligenti stanno dalla parte di Prandelli: “Il nostro codice va osservato a ogni costo. Altrimenti, non avremmo un’idea di calcio da proporre”.
Lunga vita a questo Geppetto della Nazionale Italiana.