Fanno capolino nel presepio per ultimi e lasciano come traccia i gesti semplici dell’amore folle: arrivano, s’inginocchiano, ripartono. Eppure dietro il volto di quei tre saggi d’Oriente chiamati Magi, oggi è custodito il brevetto del vero incontro con il Bambino di Betlemme: ognuno arriva dalla propria strada – in ogni caos l’uomo abiti, quello sarà il punto di partenza verso di Lui – Lo si adora e poi si ritorna a casa “per un’altra strada”. Non la solita strada, quella che c’ha condotto a Lui – popolata di folletti, abitata da Erode, profumata di vecchie abitudini -, ma una strada nuova costruita sulla sorpresa di gesti inattesi e di parole impensate: una strada d’inedita novità dove il forestiero diverrà poeta di notizie inaudite, i campi degli stranieri si trasformeranno in terreno edificabile per le nuove case dei figli, il sorriso degli avversari si declinerà in nuovi alfabeti capaci di cantare l’amore che vince l’odio e la vendetta che disarma il perdono. Nel campo di Betlemme e altrove.
I Magi chiudono il presepio, quella rappresentazione ch’è il gesto ultimo dell’Avvento, uno spazio in cui non c’è un grammo di illusione ma dove tutto è più vero del vero. Costruire il presepio è addentrarci nel mistero più paradossale della storia: contemplare un Dio che entra nel quotidiano per accendere la nostalgia dell’eterno. E il quotidiano è lo spazio delle strade e delle piazze, laddove il fabbro lavora vicino alla bottega del vasaio, dove fornaio e fruttivendolo incontrano i medesimi volti e dove la vita di paese diventa la zona ospitale per far piantare la tenda al Messia che viene. Il presepio s’adatta a tutto: al guscio di una noce e all’incavo di un capitello, al tronco di un castagno o all’oro di un monile, alle ristrettezze di un bancone del bar come alla veste di un porporato. S’adatta a tutto perchè parla di un Dio che nasce nel tutto della storia. Qualcuno ha ancora il coraggio di metterlo in scena, come in quel lontano Natale di Greccio quando Francesco d’Assisi riprodusse la Natività: la volle vivente e umana, viandante e semplice, capace di evocare che la Natività non è stata una fiaba ma una pagina di storia. Senza saperlo diede vita al primo presepio vivente della storia.
Codiverno di Vigonza (PD) non è Greccio ma con la sua rappresentazione le assomiglia tremendamente. Un presepio vivente che coinvolge un’intera comunità, una forma di catechesi al Natale per chi lo prepara e una meditazione sul Natale per chi lo contempla. Visitarlo è riscoprire l’inaudito di un Dio che entra dentro il concreto della storia: volti e mestieri di ieri e di oggi, armenti al pascolo e riproduzioni di vecchie usanze, pagine bibliche incastonate tra pagine di attualità. Un’avventura ideata sedici anni e che ancor oggi continua ad accogliere migliaia di pellegrini per far rivivere loro – immergendoli in un capolavoro di arte e di minuziosa cura dei particolari – il mistero di un Dio che mai si stanca di abitare dentro la storia più semplice degli uomini. Mettere in scena la Natività diventa per questo piccolo paese l’occasione per raccontare la loro fede, per trasmettere alle giovani generazioni che il cristianesimo è prima di tutto una Bellezza dalla quale lasciarsi rapire per poi riuscire a testimoniarla, per ricordare che Dio scommette veramente sull’umano. Un presepio che diventa una splendida lezione di catechesi, dove la noia e le consuetudini delle vecchie aule di catechismo lasciano il posto allo stupore e alla meraviglia di un Dio che da solo riesce ad accendere il sorriso della storia. Oggi faranno capolino i Magi: arrivano da una direzione, s’inginocchiano e ripartono per un’altra direzione: dopo aver incontrato Cristo, sboccia la voglia di percorrere strade diverse.
Perchè a Natale nel quotidiano della storia abita la freschezza più cara.
(da Il Mattino di Padova, 6 gennaio 2013)