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C’era un certo Gedeone, un uomo non tanto famoso.
Ad un certo punto della sua vita, fu “chiamato” da Dio per accompagnare e guidare Israele in un periodo di guerre. Un uomo, che come molti, si fece prendere la mano. Nonostante avesse sperimentato l’abbondanza della grazia, da uomo e da leader, cadde in quel meccanismo di vendetta, di sangue che genera altro sangue, di prostituzione ad un senso del potere.
Storie di vita quotidiana, soprattutto in ambito lavorativo. Viviamo in un mondo non meno incasinato o brutale rispetto a quello raccontato in tanti brani sanguinolenti e atroci anche dell’Antico Testamento. Logiche e dinamiche di potere e sopraffazione con cui ogni giorno dobbiamo fare i conti, dentro di noi e attorno a noi.

Mi sono alzata da tavola, proprio ieri, dopo una discussione spigolosa col mio superiore e un senso di ferita e di dolore mi ha accompagnata fino a sera. Il potere è davvero sordo: chiude o finge ascolto, maschera di buone intenzioni le finalità più subdole, spesso economiche, pervertendo il fine. Dentro di me albergavano: la serenità, per la certezza della validità delle motivazioni che adducevo, in difesa di una debolezza a cui dar voce; la frustrazione, per lo scontro con un muro incapace di “vedere” altro fuori da sé; infine, tuttavia, anche, quella spia rossa d’allarme, per non dimenticare che ,al di là di quel muro, da qualche parte, rimane una fessura in cui intravedere l’umano. Tutti questi intrecci abitano quotidianamente il nostro cuore, le nostre relazioni. Forse, senza spesso accorgercene, ci siamo dentro fino al collo. Da una parte, combattiamo il potere (lo attacchiamo, soprattutto quando ne siamo vittime), dall’altra, però, ci fa comodo, lo usiamo, lo asserviamo, reagiamo “per principio”, per orgoglio. Abbattiamo “torri” e – contemporaneamente – denunciamo ingiustizie.
Mi colpiva come, per gli ebrei, la vendetta fosse prevista: il sangue del mio fratello più prossimo andava pagato per diritto/dovere col sangue del tuo fratello. Un vero bilanciamento dei conti regolamentato e intriso di sangue.
Siamo rimasti ebrei dentro, allora! Come può essere interrotta questa reazione a catena? Come posso io, oggi, mandare in cortocircuito i sistemi in cui vivo?
Col coraggio di fermarli su di me!
L’Unico che è venuto ad abitare dentro a questo grande intreccio di male, bene, soprusi, invidie, odi, valori, fratellanza, ci è venuto da Fratello per salvare chi è fratello.

Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia, […] e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l’inimicizia.
(Ef 2,14-16)

Ha “distrutto”, ha fermato su di Sé la dinamica del male, quasi tirando una linea, il bug nel sistema che sovverte le regole e le reazioni. È una sfida ardua, costante, ma se il nostro albero mantiene le radici immerse in un corso d’acqua che dà vita e solidità, anche questi cortocircuiti dei sistemi in cui siamo immersi, possono attuarsi.

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