profughi carovana eritreaSharm-el Sheik: mare incontaminato, natura, vacanze, caldo e relax. Il paradiso all’improvviso, per tanti turisti (italiani, europei ed egiziani). O forse no.
Forse c’è qualcos’altro in questa sorta di Paradiso Terrestre che si offre alla contemplazione di spiriti festaioli o anime alla ricerca della serenità dell’anima (vorrei ricordare che siamo a pochi passi dal Sinai, luogo di indiscusso valore spirituale per ebrei, cattolici e non solo).
È in questa zona che si sta tuttora verificando una tra le più grandi tragedie umanitarie, nell’indifferenza generale, con l’intervento tuttavia di pochi coraggiosi, organizzati in associazioni oppure semplicemente spinti da solidarietà umana, talvolta coadiuvati dai beduini, in quest’opera di fattivo soccorso all’umanità sofferente. Questo mi è stato testimoniato da una persona che lì abita, nonostante i beduini siano i primi accusati di essere i protagonisti di questo traffico di essere umani, quando non predoni degli scatti, pronti a rapirli se non hanno soldi sufficienti per il riscatto, preventivamente avvisati dalle guardie di confine egiziane (fonte: Spmedia). È possibile conciliare queste due notizie? Naturalmente sì, dal momento che i beduini non sono mai stati un corpo solo, è assolutamente possibile che non si muovano in unità come un corpo solo e, mentre bande organizzate di beduini si comportano in modo criminale, altri sono invece capaci di solidarietà.
I predoni del Sinai, mercanti di esseri umani, continuano a tenere segregati circa 600 profughi africani, provenienti da Eritrea, Etiopia, Somalia, Sudan, negli scantinati delle palazzine di Rafah, città al valico di confine tra Egitto e Striscia di Gaza (fonte: Repubblica).
Difficile definire con altri termini questa drammatica situazione che si sta verificando a pochi km da quelle che sono abitualmente zone di vacanza, per la villeggiatura degli occidentali. Rinchiusi nei villaggi vacanze, pochi sanno o vogliono sapere ciò che si consuma quasi sotto ai loro occhi.

Questa la testimonianza di don Moses Zerai, Presidente dell’Agenzia Habeshia per la Cooperazione allo Sviluppo

“Ho potuto parlare con gli ostaggi nel Sinai, con due dei tanti gruppi di ostaggi nelle mani delle bande dei trafficanti che ora sono padroni assoluti del deserto e città nel Sinai. Le persone con cui ho parlato – prosegue il sacerdote – sono 32 nel primo gruppo erano 39 quando nel mese di settembre mi hanno chiamato, 2 di loro sono morti sotto tortura il primo morto c’è stato il 12 settembre scorso, si chiamava Medhanie; il secondo il 3 novembre, si chiamava Teaghes. Altri 5 sono stati rilasciati perché hanno pagato 25.000 dollari a testa, questo il lucroso affare che spinge questi predoni a commettere ogni efferatezza indicibili”.

Del secondo gruppo aggiunge:

“Attualmente sono rimasti in 14 persone, due settimana fa erano in 22 persone, domenica  scorsa è morto un ragazzo di 19 anni a causa dei maltrattamenti e delle tortura subite da parte dei trafficanti, lunedì un altro uomo di 36 anni, padre di 6 figli, anche lui morto sotto i colpi dei suoi carcerieri. Le donne sono 8 – riferisce il presidente dell’Agenzia –  che non ce la fanno più per le continue violenze sessuali e fisiche, quasi tutte sono in stato di gravidanza a causa delle violenze, i carcerieri non hanno nessuna pietà di fronte anche ad una donna all’ottavo mese, costretta a subire maltrattamenti, bruciature di sigarette sul seno, colata di plastica sciolta nel fuoco, capelli dati al fuoco, tutto questo sommato a gli abusi sessuali ogni giorno”.

Ma anche i maschi subiscono torture, naturalmente:

“Vengono sottoposti alla tortura sistematica con delle scariche elettriche, la colata della plastica bollente sulla pelle, sono tutto il corpo pieno di ferite e piaghe che nessuno potrà curarli, molti hanno delle infezione in corso. In questi giorni hanno tagliato il dito di diversi ostaggi, tutto questo per costringerli a chiedere aiuto”.

Che fine faranno queste persone? Si tratta di rifugiati, riconosciuti dall’UNHCR. Ma questo non basta, evidentemente, a sottrarli alle grinfie dei trafficanti di organi e alle retate della polizia, che li conducono in prigione, destinati a torture di ogni tipo, come documentato.

Naturalmente, non si tratta di una novità dell’ultim’ora. È una triste storia che continua da tre anni ormai, nell’indifferenza o quasi generale. quanto meno nel complice silenzio dei media. Contrastato dalla generosità di poche persone, che si adoperano per cercare di portare viveri, medicine, abiti a persone che, fuggendo dalle guerre, hanno portato con sé meno dell’indispensabile. Perdendo anche quello…

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N.B. – Senza dubbio, avrete notato che alcune fonti sono contrastati: in casi come questi in cui sono coinvolte tante nazioni (profughi eritrei, polizia egiziana, beduini e civili…) e anche organismi internazionali (come l’UNHCR) non è mai facile districarsi. Quel che resta è che ci sono civili inermi e disperati abbandonati a se stessi e all’altrui prepotenza, con traumi fisici e psicologici incalcolabili.

Alcune Fonti:

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