Come una di quelle cose che facilmente si catalogano come le “solite cose”: quelle che, proprio per ripetersi ad intervalli puntuali, non sono mai uguali a come sono apparse la volta precedente. Non possono, dunque, essere le solite cose” dal momento che chi le guarda non è mai lo stesso della volta precedente. Quando Francesco nel 1223 si trovava a Greccio, un eremo francescano tra Terni e Rieti, vedendo una grotta gli venne l’idea di rappresentarci dentro la Natività: nessuno seppe mai il perché esatto di quell’idea. C’era, però, un piccolo desiderio che Francesco serbava nel cuore: quello di visitare i luoghi della Terra Santa. Da questo desiderio – rimasto incompiuto anche dopo il suo viaggio nel 1220 a seguito della quinta crociata, non avendo i permessi papali per andare a visitare i luoghi santi – nacque quell’altro suo desiderio: quello di portare Betlemme e la sua storia direttamente a casa propria. Per godersela, per farla godere, per mettere in piedi quell’unico presepio che merita d’essere chiamato tale: quello vivente, dove nei mestieri e nei vestiti gli uomini e le donne portano cucita addosso la trama della vita.
E’ una liturgia che tanti paesi custodiscono gelosa. Perchè dare vita ad un presepio vivente non è come costruire un semplice presepio all’ingresso di casa: simbolo, comunque, evocativo di un Mistero che torna annualmente come incoraggiamento, sprone e augurio. Realizzarlo “vivente” è mettergli dentro la vera anima, risvegliare la serietà del Natale di Betlemme, contemplare lo scorrere della Salvezza dentro il rigagnolo dei mestieri quotidiani. Vedere da vicino con i propri occhi che il Natale non è un invito ad essere degli antiquari – interpreti gelosi di un qualcosa che è nobile e solenne perchè non esiste più – ma ad essere dei pittori: a lasciarsi sorprendere dall’irruenza della novità, della sorpresa, dell’imbarazzo. Il presepio non può, dunque, essere catalogato come la “solita cosa”: non sono “soliti” gli uomini che lo compongono, la storia che stanno scrivendo, le voci del paese che fanno loro da colonna sonora. Camminare dentro uno di questi presepi è come camminare dentro le strade dei Vangeli: è sentirsi parte di una storia più grande, è percepire l’ineffabile di un Dio che ama la storia al punto da piantarci la tenda, è sapere che il Cielo non è più un punto lontanissimo lassù ma il punto più vicino quaggiù. Nel presepio il Cielo tocca la Terra, Dio tocca l’uomo, le strade diventano incroci. E’ la consolazione somma: in qualunque caos l’uomo abiti, da lì si potrà ripartire.
Verrebbe proprio da dire, allora, che il presepio o è vivente o non è presepio: troppo forte il rischio d’annoverarlo tra le fiabe del Natale, uno dei tanti ritratti del sentimento, una piccola poesia celeste dentro la cronaca feriale più cupa. E’ anche questo, ma è molto di più: è la serietà di un Mistero che si mescola con le cose che quaggiù paiono misteriose, è l’invito a cercare Dio sgomitando tra il fruttivendolo e l’arrotino, il fabbro e il pescatore, la lavatrice e il mulino. E’ scoprire che la storia di Dio s’ingrassa e s’ingrossa dentro le strade dello stesso paese nel quale abbiamo scelto le nostre abitazioni. Perché da quando Dio si è deciso a farsi uomo, nessun luogo può più dirsi immune dall’essere abitato da quel Dio. Nemmeno quello più recondito e dimenticato.
Un presepio potrebbe anche essere la “solita cosa”: è pura diavoleria la tentazione d’essersi abituati alla Bellezza. Qualora fosse anche tale, però, rimarrebbe ancora una possibilità: quando si ha perduto tutto, anche una “solita cosa” potrebbe valere un patrimonio. La “solita cosa” di un Dio che è venuto ad abitare davanti a casa mia: come il più inaspettato dei vicini di casa. Fare attenzione agli schiamazzi dei vicini è, dunque, rischiare di imbattersi in Dio.
(da Il Mattino di Padova, 28 dicembre 2014)