Schiamazzi nella piazzetta, lunghe file colorate sui sentieri di montagna, messe sotto il sole o sotto le stelle (quanto belle sono queste cattedrali senza incensi o marmi raffinati) e tanta pazienza nel reggere la responsabilità che viene loro affidata. C’è chi d’estate si riposa e si trastulla come lucertole sotto il sole del mare e chi d’estate cerca di dare forma e luce ad un modo diverso d’intendere e di presentare il cristianesimo. È l’estate delle parrocchie che “fanno transumanza” verso i luoghi di campeggio e di formazione. Molto spesso – a sentire le statistiche informali rubate alle confidenze tra preti – qualche genitore intende i grest e i campeggi come la versione estiva dell’asilo nido: magari non si condivide lo spirito che anima queste esperienze ma la certezza che almeno sono al sicuro (“almeno si spera”, potrebbe aggiungere qualcuno con un pizzico di malfidenza di questi tempi) è garanzia di tranquillità pure a casa. Eppure loro – i tanto bistrattati preti giovani e meno giovani – al sorgere di giugno sempre ripartono nella loro sfida educativa: mostrare e testimoniare la bellezza di vivere Cristo nel mondo d’oggi. Tentano di spiegarlo agli infanti e agli adolescenti, a quelli dell’oratorio e a qualcuno del muretto, a quelli delle scuole private e a quelli delle scuole pubbliche, a chi frequenta la chiesa e a chi della chiesa conosce a menadito il sagrato. Ci provano: in fin dei conti il loro operato va sempre e solo misurato dalla bontà e dall’intelligenza della semina e mai dal successo del raccolto. Misurassero la bontà e la validità delle loro azioni e dei loro sforzi pastorali dal successo o dall’insuccesso mostrerebbero di non aver capito granché dell’insegnamento evangelico.
D’ingenuo la maggioranza di loro ha ben poco se al giorno d’oggi hanno scelto Cristo alle tendenze del momento: ragione per cui sanno che a qualche famiglia preme maggiormente conoscere il menù della settimana piuttosto che il lavoro da compiere alla luce del Vangelo. In tempi di confusione culturale non è una difficoltà insormontabile, ma rivela come la vera sfida che anima il popolo dal colletto bianco (vogliamo pensare che qualcuno s’opponga alla moda del momento di viaggiare in borghese) sia l’eterna lotta tra Apollo e Cristo: il primo tentava in tutti i modi di scappare dalla concretezza della storia per evadere in un mondo immaginario, il Secondo si decise d’entrare dentro la complicazione della storia e di sposarla per far brillare il meglio che in essa era contenuto. È proprio questa la chiave che anima la parrocchia “viaggiante” dell’estate: mostrare come, per trovare un senso che rassereni il cuore, non occorra viaggiare chissà dove per scappare dai nostri giorni come Apollo, ma entrare dentro se stessi per dare voce e luce al meglio che in noi è nascosto.
Quando la tribù dorme, il prete si sforza di farlo ma non sempre ci riesce: a volte il peso della responsabilità è davvero grande. Ci piace pensare che se non dorme (chissà se qualcuno si ricorderà di dire pure a lui “Buonanotte, don”) almeno sogni che quell’entusiasmo che arriva dalle voci festanti delle flotte di ragazzi e adolescenti non vada poi in pensione allo scoccare della prossima campanella. A settembre saluteranno, forse se ne andranno, qualcuno rimarrà più convinto: sì, qualcuno busserà anche alla porta per ringraziare oltreché per ritirare qualche cauzione precedentemente versata. Sarà bello vedere che pure negli occhi di qualche genitore ci sarà un pizzico di commozione: perché pensavano che fosse tutta una barzelletta turistica e invece scoprono che, giunti a casa, i figli mostrano un sorriso diverso: è quella che Gilbert Chesterton definiva la gioia sorprendente del cristianesimo.