Come uno di quei vecchi riparatori di ombrelli di paese: fuori scende la pioggia o spira il vento, loro dentro la bottega uniscono le stecche, riparano il tessuto, aggiustano i manici perchè altri possano poi trovare difesa tra i temporali della città. Come una bottega di un vecchio ombrellaio potrebbe essere oggi la parrocchia del paese: i rintocchi delle sue campane possono anche non significare più nulla all’orecchio dell’uomo – oltrechè a complicare la vita di qualche curato – ma a settembre ogni anno riapre per servire la gente di passaggio. La missione alla quale è costretta è assai ambiziosa: immersi dentro una storia di uomini che sempre più s’addossano l’illusione e la pretesa di essere considerati “Dio”, ricordare che c’è un Dio che ha deciso di farsi uomo per mostrare come la vita di quaggiù sia tutto eccetto che una stramaledetta cosa dopo l’altra. Il sogno – magari nascosto sotto un vestito consunto o una pastorale un po’ acciaccata – è quello di aiutare la gente a lasciarsi guardare da Cristo, senza vergogna alcuna della miseria propria e altrui. Perchè nei Vangeli essere guardati da Lui è un’esperienza di Verità, come per la Samaritana del Vangelo: “mi ha detto tutto ciò che ho fatto” (Gv 4,39).
Riapre la bottega del prete-ombrellaio: vi entreranno volti giovani e volti segnati dall’età, passi di madri indaffarate e di padri in carriera, zigomi di operai precari e angoscia di ragazzi alla ricerca di un senso. Varcheranno quella porta coloro che di Dio hanno sentito parlare da tempo, chi magari non ne ha mai sentito parlare, chi dopo averne sentito parlare ritenterà la sfida della fede, magari animati da una semplice curiosità. E loro, gli ombrellai, terranno la missione vecchia come le righe dei Vangeli: aggiustare l’immagine di Dio, unire le esperienze del vissuto, aiutare a risanare le ferite dell’anima perchè poi all’ombra del vero Dio – quello che non risolve problema alcuno ma aiuta a trovare un senso nel garbuglio del quotidiano – possano ripararsi mentre camminano nella loro vita. Quella della parrocchia è una bottega un po’ strana: la danno sempre sul punto del fallimento e della liquidazione totale, qualcuno ne minaccia la svendita o di andarsene ma poi, al riapparire di ogni settembre, basta un nonnulla per ritrovare la voglia di aprire i battenti. E chissà mai che quest’anno – condannati dalle circostanze all’essenziale – non ci andiamo pure noi, preti-ombrellai, all’essenziale di Cristo e torniamo a raccontare il lato umanizzante del cristianesimo e della fede cristiana: quella fede che non uccide l’intelligenza all’ombra del vecchio motto “credere-obbedire-combattere” ma la tiene in vita. Che non spegne l’affettività, la sessualità e le passioni dell’uomo ma le mantiene in quota. Che non potrebbe mai e poi mai umiliare il lato umano né tanto meno schiacciarlo, ma lo promuove e lo esalta. Saremo costretti a farlo per ritrovare la fedeltà alla gioia dei Vangeli e per fare pure noi esperienza che un’immagine corretta di Dio è ancor oggi capace di significato e di stupore nel cuore dell’uomo e della donna che si danno da fare sotto il cielo.
L’ombrellaio a volte da qualcuno è deriso: “cambia mestiere, signore!”; ma quando piove tutti cercano immediatamente un ombrello e ringraziano quei vecchi aggiustatori di esistere ancora. La vita di parrocchia somiglia spesse volte a quest’umile arte artigiana: più che costruire in parrocchia si restaura. E c’è da credere che anche quest’anno il restauro più faticoso sarà di coloro che avranno il coraggio e la libertà del cuore di correggere quell’immagine di Dio stanca e infedele, barbuta e annoiata, vendicativa e lontana per mostrare che nel Vangelo abita anche il Cireneo della Gioia. E che Dio è tutto eccetto che noia e antipatia: ad un Dio annoiato nessuno potrebbe prestare ascolto o consegnare a Lui la propria capacità di stupore e di meraviglia.
(da Il Mattino di Padova, 23 settembre 2012)