Come una di loro, con in dote la convinzione espressa anzitempo da E. Mounier: “la più grande virtù politica è non perdere il senso dell’insieme”. Perchè scrutando il volto del mondo e della storia dell’uomo dall’elicottero è forte il rischio di contemplare le nostre immagini e dare voce ai nostri pensieri. Che poi sono sempre quelli: “il mondo va male. Il mondo è frammentato. I giovani non sognano”. Se poi il volto da contemplare è quello striato e decomposto del carcere, allora il rischio è duplice: scambiare la giustizia con la vendetta e aggrapparsi alla grammatica del luogo comune: “il carcere è sovraffollato. La detenzione deve essere rieducativa. Il detenuto deve redimersi”. Il cristianesimo racconta l’avventura di un Dio che s’è sporcato le mani e si è inabissato dentro la storia per conoscerla a tal punto da poterla poi trasformare. Un bellissimo anticipo di quello che è il segreto di ogni rivoluzione riuscita: amare per conoscere, conoscere per migliorare, migliorare per umanizzare. Il ministro della giustizia Paola Severino è entrato dentro il carcere di Padova: si è seduta, ha ascoltato, per quello che ha potuto ha parlato. Eppure il gesto simbolico di conoscere da vicino una realtà che troppi dicono di conoscere senza aver visitato è stato troppo genuino per non riconoscerle il merito d’aver accettato la sfida di far entrare nella sua immaginazione l’uomo lasciando per un istante fuori dalla porta il reato.
Un ministro “pro – tempore” che ha parlato del carcere come di un luogo nel quale apprendere la consapevolezza dei problemi: visitarlo è stato per lei un’iniezione di fiducia, necessaria in un mandato politico che viaggia sempre nell’alternanza tra l’entusiasmo e la stasi. Contemplare in anteprima di come il lavoro dentro le galere sia davvero una via d’uscita da uno stile di vita errato che permetta la possibilità domattina di far convivere assieme la sicurezza della collettività e il reinserimento sociale. Perchè – come esplicò magistralmente il santo dottore Agostino – la pena vive di un duplice fine: la conservazione della società e la correzione del colpevole. A leggerla poi da un punto di vista cristiano, dovremmo avere il coraggio di far sempre memoria alla “società dei giusti” che la pena deve estirpare il peccato e non annientare il peccatore: il primo è opera dell’uomo, il secondo è opera di Dio. Una parte di detenuti l’ha accolta con i fischi e la melodia delle pentole sul ferro: non è sempre facile spiegare a chi è in fase di “trattamento all’abbrutimento” l’importanza di un gesto simbolico o di una rappresentativa a nome di tutti. Ma a chi c’era è stato affidato il compito di essere voce tra le celle di un filo di speranza umana entrato. Qui dentro la convinzione è che non cambierà nulla: nessuno ha mai vinto le elezioni svuotando le carceri, bensì riempiendole. Ma anche in caso di mancato raccolto da questa visita è rimasta quella parola come guadagno di una giornata di parole, immagini e pensieri: “consapevolezza”. Consapevolezza per la politica: perchè prima di parlare trovi il coraggio di entrare dentro il vissuto di questi uomini e guardarli nel volto senza paura. Consapevolezza per la Chiesa: perchè la nostra società è fondata su Uno che ha reso tutti alla pari, abbattendo la presuntuosa divisione tra buoni e cattivi. E consapevolezza per la città: perchè nessun uomo è mai solo il suo errore.
Il carcere visto dall’elicottero è una discarica a cielo aperto. A camminare per i suoi corridoi una certezza splende: qui dentro il cuore dell’uomo batte per gli stessi motivi che fanno battere il cuore dell’uomo fuori. Ci piace pensare che, seppur visitato in maniera parziale, sia questa l’immagine lasciata al ministro. Perchè il vero sovraffollamento è il concentrato di disperazione prima che di delinquenza.
E qui la sfida è tutt’altro che persa.
(da Il Mattino di Padova, 18 settembre 2012)