In mezzo alle turbolente vicende che in questi giorni si stanno scagliando come nubifragi inarrestabili sulle scogliere della nostra Penisola, ci sono tanti modi per manifestare il proprio consenso, la propria vergogna o semplicemente il proprio punto di vista. La democrazia passa anche attraverso l’elaborazione di un libero pensiero che, lungi dalla manipolazione, sia capace di discernere obiettivamente dove finisce la giustizia e inizia l’accanimento. O dove termina la moralità e inizia l’immoralità. Sfogliando la cronaca in questi giorni, però, un dato sembra sfuggire alla penna delle firme giornalistiche, solitamente avvezze a dare voce al mondo della giovinezza. Ammesso che qualche profeta possa essere diventato l’emblema di una certa corrente giovanile, è interessante leggere – navigando tra blog, siti internet e community varie – come s’è sviluppato il pensiero giovane dell’altra fetta della giovinezza dopo le prime inevitabili reazioni. E’ molto semplice da descrivere: gran parte dei giovani se ne fregano di quello che sta succedendo nel nostro paese.

menefreghismo

I benpensanti tacceranno questo disinteresse giovanile come peccato – magari catalogabile nel mezzo tra il veniale e il mortale -. Eppure a ben pensarci è la forma di protesta più creativa di cui loro siano artefici in questi giorni bui della vita politica italiana. Perchè tra la rabbia e la simpatia ci stanno insegnando che esiste anche il menefreghismo. Quel menefreghismo non voluto ma necessario per non lasciare che eventi contingenti vadano a scolorare pensieri e immaginazioni che stanno tentando di costruirsi il futuro. La politica sta sperimentando quello che la Chiesa avverte – senza volerne dare l’impressione – ormai da anni: le chiese, i pulpiti e le grandi manifestazioni non sono toccate o boicottate. Sono anche molto partecipate il più delle volte: ma delle parole che s’odono nel mezzo ai più non passa l’idea che debbano essere concretizzate nella vita. Lasciano parlare, ma non ne seguono l’eco: siamo nella forma più evoluta del rifiuto cristiano. Nel blog di uno scrittore emergente, in questi giorni campeggiava un’espressione di Italo Calvino quando, nel mezzo di una sua elaborazione, evidenziava come ci siano due modi per non soffrire l’inferno: il primo è caderci dentro e diventarne parte fino a non accorgersene più. Il secondo è riconoscere nel mezzo dell’inferno dei germi di Paradiso e cercare di dare loro spazio per non farli morire. Oggi sul concetto di “eroismo” sembrano esserci opinioni divergenti. Eppure anche tra chi la pensa in modo diverso giace la vera figura dell’eroe: colui che accetta di imporsi una violenza pur di non diventare parte di un inferno che si presenta sotto le vesti della sensualità, del lassismo e della scorciatoia.
Avere centocinquant’anni e scoprire che i tuoi figli festeggiano il compleanno ignorandoti è una situazione che nemmeno la madre più nefasta oserebbe sognare. Eppure è il modo giovane con il quale stiamo festeggiando un anniversario di cui nessuno ormai parla più. Cosicchè questo disinteresse generale non fa altro che aumentare il “grazie” riconoscente nei confronti del menefreghismo di questi giovani. Che – rifiutando la parte di comparse nel film “C’era una volta l’Italia” – se ne stanno zitti a difendersi da chi vorrebbe togliere loro anche l’ultima illusione rimasta: che dopo la tempesta venga la quiete.
In caso contrario – per rimanere fedeli alle dinamiche raccontate da Calvino – saranno costretti anche loro a vivere per sempre sulle cime degli alberi, come il barone rampante. Per non rischiare di farsi travolgere dalla mediocrità di chi dovrebbe dare il buon esempio.
A questo punto meglio il menefreghismo che un falso moralismo.

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