MariaNazarethChe fosse il prete dei carcerati fino a pochi giorni fa non contava nulla. Adesso – dopo che la caduta di una trave gli ha rubato la vita – quel suo stare dietro le sbarre assume il valore di un testamento spirituale: cercare di strappare alla macerie la bellezza. Don Ivan Martini la voleva vicino agli sfollati la sua Madonnina, dentro le viuzze di quel paese – Rovereto sul Secchia, diocesi di Carpi – che a lei dal lontano 1500 aveva probabilmente affidato segreti e propositi, dubbi e speranze, sussulti e fremiti del cuore. Non è stato uno sprovveduto quel parroco di campagna: in chiesa c’era entrato con i Vigili del Fuoco e il suo gesto era lungi mille miglia dal desiderio di diventare l’eroe che sfida la sorte per firmare un gesto coraggioso. Era semplicemente il gesto di un uomo che, lavorando nel ventre delle galere, ha appreso sulla sua pelle di sacerdote che la bellezza bisogna avere il coraggio di andarla a cercare e raccattare anche sotto le macerie. Che sia la statua di una Madonna o i brandelli feriti di un detenuto poco cambia: non ci può essere fedeltà a nulla senza un margine di rischio. Una scossa violenta e inaudita ha messo fine alla sua vita; ma quella stessa scossa c’è da scommetterci che nell’animo della sua gente varrà come il gesto tenero di un condottiero che ha voluto a tutti i costi andare a cercare la sua Dama laddove un terremoto l’aveva cacciata, nei bassifondi di quella chiesa che, crollata, rimaneva comunque l’emblema di una fede semplice e schietta qual’era quella della sua gente.
Un terremoto – ebbe il coraggio d’affermare don Tonino Lasconi, parroco di Fabriano, quando nel 1997 una violenta scossa rase al suolo la sua terra – lo si può leggere in due modi: come un qualcosa che distrugge tutto e sotterra la speranza o come un aratro che spacca la terra preparandola per una nuova semina. E’ la legge delle doglie del parto di cui parla Paolo, la fatica necessaria della farfalla per uscire dal bocciolo, l’avventura del seme obbligato a marcire per portare frutto. La legge splendida di cui trasudano le pagine del Vangelo: arriveremo a Pasqua ma sotto la Croce è necessaria la sosta, pur sapendo che quel Legno al quale hanno trafitto l’Autore della Vita rimarrà sempre in collocazione provvisoria. In compagnia di Maria, l’ultima fiammella capace di splendere nell’oscurità di quel primo Venerdì Santo della storia. Forse per questo quell’anonimo parroco emiliano è andato a cercare il volto di quella donna, perchè senza la lucentezza di quello sguardo sarebbe stato assai difficile illuminare la strada alla sua gente, organizzare nei loro cuori la speranza ma sopratutto incoraggiarli a risalire assieme a Lei la scarpata dove il destino li ha tragicamente condotti. Nessun prete somiglia ad un eroe; sono semplicemente artigiani di speranza felicemente costretti ad aggrapparsi ai simboli per continuare a leggere la storia dell’uomo con gli occhi di Dio. Quei simboli che, sotto le macerie, continuano a raccontare l’avventura cristiana, quell’ambizioso e paradossale viaggio della speranza e dell’amore che rinasce ogni volta dai terremoti naturali o dagli sconquassi dell’anima ferita.
Lungo le strade di Roma qualche mese fa della gente infelice e bellica è entrata in una Chiesa, ha preso la statua della Madonna e l’ha sfracellata a terra sfregiandone la sua bellezza. Don Ivan ha fatto il gesto contrario: è entrato in Chiesa in punta di piedi per proteggere la sua Madonnina e una trave l’ha schiacciato a terra. Davvero strana e inquietante la simbologia cristiana. Ma c’è da giurarci che il cuore di quel condottiero, seppur agonizzante, era in festa perchè caduto in prossimità della sua Dama.
Il sogno di ogni guerriero.

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