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Il comun denominatore tra la prima lettura ed il Vangelo è la presenza dell’acqua. Tumultuosa, agitata è l’acqua del Mare di Galilea per gli Apostoli; un’incognita, pur nell’aspetto non certo maestoso del Giordano, se ad attraversarla è un popolo intero.
In entrambi i casi, quando la Bibbia parla d’acqua, in genere, il richiamo simbolico, più o meno diretto, è alle nostre difficoltà. L’acqua non è il nostro ambiente naturale: avere a che fare con l’acqua ci porta, inevitabilmente, a contatto coi nostri limiti. Eccezion fatta per chi è portato a ri-prendere coscienza del mondo sommerso poco dopo la nascita, per molti bimbi, il primo tuffo in piscina è accompagnato, spesso, da molte paure e qualche ansia. Tutto cambia, in acqua: la percezione del tuo corpo, la modalità di spostamento.. inutile aggiungere, che, in acque libere, le difficoltà sono raddoppiate dall’impossibilità di sapere esattamente “cosa ci sia sotto”. Ecco allora più comprensibile la metafora dell’acqua come metafora della vita spirituale in cui, di fronte al Mistero, siamo chiamati alla Fede.
È in questa cornice che si muovono i personaggi che incontriamo nella IV Domenica dopo l’Epifania.

La prima lettura è tratta dal libro di Giosuè. La traversata d’Israele durò ben 30 anni. Come preannunciato da Dio, né Mosè né Aronne vi entreranno, a causa della loro scarsa fedeltà alla Sua Parola (Num 20, 7-12): a Mosé fu consentito soltanto di affarciarsi ed averne visione, ma entrambi morirono prima di porre le loro impronte su quel suolo tanto desiderato. Ecco, quindi che il tragitto del popolo d’Israele prosegue sotto la guida di Giosuè, come vediamo nel brano proposto. I sacerdoti, che trasportavano l’Arca dell’Alleanza, procedono, finché è loro possibile. Arrivati al Giordano, si arrestano, perché non gli è possibile attraversarlo, con l’Arca. È interessante la posizione dei sacerdoti: essi, con l’Arca, che è segno della presenza di Dio, «sono davanti al popolo»: è Dio stesso, dunque, a precedere il proprio popolo, guidandolo. Tuttavia, quando il Giordano si “apre” al loro passaggio, l’Arca rimane indietro, finché il popolo non sia passato. Sottigliezze, che dicono la delicatezza di un padre di famiglia, di una guida, di ogni educatore, che sa che indietro non deve rimanere nessuno e, pur di esserne certo, fa da chiudifila, pur di accertarsi che – davvero – sia così.
Il Vangelo ci mostra, invece Gesù che costringe i discepoli ad andarsene, da soli, mentre il Rabbi di Galilea si sobbarca il compito di congedare la folla. Non è un giorno qualsiasi. È appena successo un grande evento, che, senz’altro, ha lasciato un’eco nei discepoli (Mc 6,52: «non avevano compreso il fatto dei pani: il loro cuore era indurito»): era appena avvenuta la moltiplicazione dei pani e dei pesci, grazie alla quale migliaia di persone, per il gesto di generosità e fiducia di uno di loro, avevano potuto sfamarsi. Probabilmente, i discepoli stessi sono galvanizzati: Gesù preferisce, dunque, che non parlino con la folla, perché vuole evitare di creare l’aspettativa di un Messia glorioso e risolutore di problemi. Per lo stesso motivo, preferisce, piuttosto, tornare in dialogo con il Padre, perché sia fatta la Sua volontà e non sia abbindolata dalle tentazioni di gloria e di potenza.
C’è un richiamo più forte, però: è quello del cuore. Al vederli remare con difficoltà, Gesù si fa loro incontro, come una madre va incontro ai figli, quando li vede, sopraffatti dalle difficoltà, che corrono il rischio di perdere la speranza. Tale è la raffigurazione di Cristo che ci regala la pennellata di Marco.
Al vederlo, neppure lo riconoscono: hanno paura, credono sia un fantasma. Sono come bambini, che hanno bisogno di essere rassicurati. La sola presenza di Cristo fa cessare il vento.
Non siamo anche noi così? Quando ci sentiamo soli, la paura prende il sopravvento e non riusciamo a crederci capaci di superare le difficoltà che la vita ci pone innanzi. Non ci basta che Cristo sia presente. Dobbiamo sentirne la presenza e attendere che salga sulla nostra barca. Solo allora, il nostro cuore potrà trovare la pace che cercava disperatamente.
Perché, come diceva don Bosco, di cui abbiamo celebrato la memoria il 31 gennaio, riguardo ai giovani: non basta essere amati. Noi dobbiamo sentirci amati. E, siccome è vero per ciascuno di noi, è bene che, ogni tanto, ce lo domandiamo: abbiamo fatto sentire amate le persone che amiamo?

(Rif: letture festive ambrosiane, nelle IV Domenica dopo l’Epifania, anno C: Gs 3,14-17; Sal 113A; Ef 2,1-7; Mc 6,45-56)


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