Pochi vi fanno caso, anche tra chi abitualmente frequenta le celebrazioni eucaristiche. Natale, Pasqua sono importanti e tenute in alta considerazione, com’è giusto che sia. Eppure, pochi fanno caso che, oltre a queste due, la terza solennità cristiana è proprio la Pentecoste. Duole dirlo, ma forse, davvero, come diversi teologi sottolineano, il motivo risiede nel constatare come lo Spirito Santo sia, ancora oggi, “il grande sconosciuto”.
La terza persona della Trinità (già il numero ordinale pare sminuirne il ruolo, in quanto ultimo nominato); reminiscenze catechetiche ci suggeriscono i suoi sette doni, e, forse, persino, il suo ruolo di rilievo nella chiesa delle origini, il credo (apostolico o niceno-costantinopolitano) ci ricordano la sua presenza, costante, nella vita della Chiesa. Quello che viviamo, a partire dalla Pentecoste, fino ad ora, è il tempio della vita nello Spirito, quello in cui lo Spirito Santo agisce nella Chiesa di Cristo. Ma posso dire davvero di conoscerlo, di essere in relazione con lui?
Armonia e confusione: Babele e i suoi figli [1]
Forse chiunque, almeno una volta nella vita, ha provato quella sensazione di straniamento che provoca il sentirsi “lasciati fuori” da una conversazione. Tutti, intorno a te, capiscono, comprendono, ascoltano, annuiscono. Tu no. Quella non è la tua lingua. Che sia tu in un paese straniero, oppure ti trovi nel tuo paese, ma sei – temporaneamente – circondata da una comunità linguisticamente differente da quelle da te conosciute, non cambia molto.
Ecco perché è comprensibile la ricerca di un unico idioma, identico per tutti, con cui, finalmente, comprendersi ed “ospitarsi”. Non può però essere una scelta ‘di comodo’ o livellante, che spinga verso un’uniformata piata e banale. Non è questo cui aspira la fantasia dello Spirito. L’armonia ricompone in unità la varietà dei singoli, armonizzando – per l’appunto – le differenze, senza sopprimerle.
Incontro a Dio [2]
«Mosè parlava e Dio gli rispondeva con una voce» (Es 19, 19)
La seconda lettura ci ricorda che una relazione in corso, richiede – inevitabilmente un dialogo in atto, senza distinguere, ma comprendendo, assieme, l’aspetto verbale e non verbale che esso comporta. Un dialogo è sempre un sistema biunivoco, che coinvolge, in modo assiduo e profondo, tutte le persone in esso coinvolte
Mosè è figura del desiderio realizzato, di colui che vide le spalle di Dio[3], senza morire, custodendo, però, ancora nel cuore, il desiderio di un volto. Quel desiderio che, in Cristo, trova pieno compimento, perché il Verbo si è incarnato e ciò che, fino ad allora, era il Dio distante da raggiungere con l’altezza e la profondità del ragionamento, si è fatto raggiungibile, tangibile, accostabile. Una vera rivoluzione, attuata con lo stile di Dio: con progressione, discrezione, costanza, rispetto dei tempi dell’umanità, amore infinito e preveniente.
La speranza che non muore [4]
L’appropriazione liturgica di Ez 37 ha comportato un certo snaturamento di quel testo, rispetto al suo contesto, attribuendogli significati più affini al cristianesimo che non alla sensibilità dell’epoca in cui fu effettivamente scritto (VI secolo a.C.). Ancora oggi, infatti, non vi è uniformità teologica al riguardo, nella fede ebraica, riguardo alla resurrezione della carne: vi è la possibilità di crederla, ma non si tratta certamente di un obbligo: la scelta è – sostanzialmente – lasciata al singolo fedele. Piuttosto, il riferimento fondamentale che il profeta vuole comunicare con la visione delle “ossa inaridite” è che nulla è impossibile a Dio. Anche un popolo, una comunità fiacca e disanimata, incapace di intravedere la via del bene, può ritrovare il proprio vigore, se ricevere lo Spirito che viene da Dio e che le infonde (nuova) vita. È una speranza che non muore, ma si appresta a risorgere.
L’arrivo dello spirito, già nella Prima Alleanza [5]
Il brano di Gioele (il secondo dei dodici profeti minori, vissuto nel V secolo a.C.) mostra forse l’anticipazione più netta, nell’Antico Testamento, di quello Spirito Santo, che Cristo inizierà a nominare nel Vangelo, pur parlandone in modo magari non esplicito, come forse avremmo desiderato noi che siamo venuti dopo e siamo più abituati ai trattati che non alla predicazione secondo il suo stile itinerante. Il brano di Gioele, potente ed evocativo, a forti tinte escatologiche suggerisce che lo Spirito è qualcosa in grado di trasformare radicalmente ciò che incontra sulla sua strada. Di questo, possiamo vedere un parallelismo nella “trasformazione” degli apostoli: i pavidi uomini di Galilea, “chiusi nel cenacolo per paura dei Giudei”[6], sono gli stessi che, dopo essere stati fustigati dalle autorità giudaiche, se ne tornarono, “lieti di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù”[7].
…ma a che serve?
A trovare pace. Quella che cercavano, del resto, anche gli uomini della torre di Babele. Quella che cerca ciascuno di noi, anche quando la ricerca si rivolge verso luoghi, persone o attività che non sono incapaci di corrispondervi.
Dio è Dio e “i suoi pensieri non sono i nostri pensieri”[8], ma lo Spirito Santo ci aiuta a capire che si tratta di un Dio al quale poter dire “Abba (papà)”, che vuole il nostro bene, sempre. Anche quando non lo comprendiamo. Ecco perché è necessario essere docili allo Spirito e alle sue sollecitazioni: Egli, l’Amore che lega il Padre al Figlio, è il solo che può invitarci all’interno di questa comunione, mostrandoci, in azione, la novità portata dalla Parola, fatta carne. Non agisce mai al posto nostro, ma ci aiuta a comprendere la preghiera migliore con cui rivolgerci al Padre[9], senza sprecare parole come i pagani[10], senza metterci al posto di Dio, né “dargli ordini”, ma confidando in Lui con la certezza di essere ascoltati e compresi perché da lui proveniamo e in lui ci muoviamo [11].
[1] Cfr. Gen 11, 1-9
[2] Cfr. Es 19, 3-8. 16-19
[3] Cfr. Es 33
[4] Cfr. Ez 37
[5] Cfr. Gl 3, 1-5
[6] Cfr. Gv 20, 19
[7] Cfr. At 5, 41
[8] Is 55, 8
[9] Rm 8,27
[10] Mt 6,7
[11] cfr. At 17, 28
CURIOSITÀ. LA “SEQUENZA ALLO SPIRITO SANTO” è una preghiera che è stata attribuita sia a Stefano di Langhton, arcivescovo di Canterbury che all’abate Notker Balbulus. Al primo è da ascrivere anche l’impegno per la ratifica della Magna Charta Libertatum (1215), testimonianza di come non vi sia contraddizione tra l’ascolto dello Spirito e la difesa dei diritti civili.
- Rif. letture vigiliari nella Domenica di Pentecoste, rito ambrosiano, anno B: Gen 11, 1-9; Es 19, 3-8. 16-19; Ez 37, 1-14; Gl 3, 1-5; 1Cor 2, 9-15a; Gv 16, 5-14
- Vedi anche: “Lo Spirito Santo, o: il miglior insegnante del mondo”
- Fonte immagine: fedeinCristo
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