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Il dolore non può lasciarci indifferenti, ma quando ad essere colpiti sono i bambini, è una ferita che sanguina sempre un po’ di più. Non c’è niente di più triste che vedere spegnersi l’entusiasmo di un bambino. Qualunque ne sia la causa, chiunque vi assista, può testimoniare come sia qualcosa di contrario alla natura stessa dell’essere fanciulli la perdita dell’entusiasmo; eppure, proprio l’evaporazione del sorriso dai loro volti il primo indizio che qualcosa si è guastato e che il loro mondo ha subito un’intrusione indebita, che ha fatto calare il grigio sui colori accesi, che dominano il regno della loro fantasia.
Bambini morti. Trascurati. Seviziati. Abusati. Denutriti. Uccisi.
No, non si tratta della martoriata Africa. Non della sovrappopolata Asia, dell’onnipresente India, magari. Si tratta della nostra Italia. Dei nostri palazzi. Delle nostre città. Delle nostre famiglia.
Potrebbe essere una mia vicina di casa, la vittima. O la tua. Un amico. Un conoscente. Il figlio di un vicino. Proprio quello che hai visto crescere e conosci da quando è nato.
Fortuna è l’ultima vittima, che ha meritato gli onori delle cronache. Ma quanti muoiono, rimanendo nell’ombra, o subiscono, in silenzio?
Perché la pedofilia è un reato subdolo, talvolta lo compie un estraneo, ma, ahimè, statistiche alla mano, il numero maggiore è ancora nelle famiglie. Le mancate denunce la fanno ancora da padrone. E, dato ancora più allarmante le donne stanno facendosene protagoniste, non solo vigliacchi complici, com’era frequente in passato.
Quest’evoluzione non segnala affatto una situazione rosea, ma a comunicarla è chi di questo si occupa quotidianamente, come don Fortunato Di Noto, che quindi ben conosce le dinamiche di questo fenomeno, così come la sua evoluzione.
Giustamente, il prelato si premura di fare sempre una doverosa distinzione, sottolineando come di pedofilia si parli quando la vittima è un soggetto prepubere. Non che nel caso di abusi su minorenni, magari in funzione del proprio ruolo autorevole, non ci sia colpa. Ma è bene chiamare le cose con il proprio nome.
E pedofilia si intende un interesse sessuale verso soggetti (maschi o femmine) al di sotto dei dodici anni circa, con attenzioni morbose ed inadeguate rispetto al rapporto che è opportuno sussista tra un adulto ed un bambino.
Ciò significa anche che, spesso, purtroppo, parliamo di vittime molto al di sotto di questa soglia, arrivando ad abusi su neonati. Qualcosa di difficile anche solo da immaginare, ma che esiste.
Tanto si arriva al limite dell’immaginabile che – lo abbiamo visto in questi giorni, con l’arresto e la traduzione dei sospetti delle violenze di Caivano – chi si macchia di queste colpe, o ne è anche solo accusato, in carcere rischia la pelle. I detenuti sono i primi a disprezzare questo tipo di violenze. Come se ci fosse un limite oltre il quale la misericordia non sia più possibile.
Noi sappiamo che non è così, che le braccia della Misericordia di Dio non conoscono limiti. Ma concepiamo anche i nostri, di limiti. E non possiamo che comprendere, a maggior ragione di fronte a queste tragedie, la difficoltà del cammino di un perdono vero e reale.
Si sprecano le raccomandazioni, in casa e non solo, ai nostri bambini, rispetto al “lupo cattivo”. non dare confidenza, stai attento, non ti fermare, fai attenzione. Col rischio, neanche tanto distante, di crescere bambini con una fiducia nel prossimo al minimo sindacale. Un metodo forse sbagliato, se ci basiamo sulle statistiche (pur, probabilmente falsate dal silenzio omertoso con cui sono purtroppo spesso coperti questi reati), secondo le quali la maggioranza degli abusi di questo tipo avvengono in ambito intrafamiliare – o, tutt’al più, delle strette conoscenze della cerchia familiare – con un aumento delle percentuali in cui l’aggressore è una donna ed in cui le vittime sono neonati. si vanno sfaldando, insomma, anche in questo caso, i pregiudizi su chi sia la vittima e chi il carnefice. Lo stesso don Di Noto sottolinea poi come molto spesso l’abuso sessuale infantile si traduce nell’eliminazione della vittima, ritenuta troppo scomoda e rischiosa nel suo rimanere in vita.
Anche nel caso di un neonato, pur non potendo identificare l’aggressore, la violenza rimane come cicatrice ne segna l’esistenza e necessita di adeguata rielaborazione. “I bambini non dimenticano”.

Cosa fare, dunque, quando, il “lupo cattivo” è proprio dentro le mura domestiche, tra persone di fiducia, in ogni caso (la casistica più diffusa del resto)? Rispondere a questo interrogativo non è di poco conto, dal momento che, proprio per la sua origine, è dalle violenze provenienti all’interno della famiglia che rimangono i danni più seri al soggetto che le ha subite. Anche per i bambini più piccoli, “istintivamente”, la famiglia è il “nido”, il luogo della sicurezza e della tranquillità. Del resto, un bambino piccolo è indifeso e si affida alle cure della famiglia, in modo totale, tanto più la sua età e la sua autonomia sono ridotte.
Forse mi viene da pensare che il primo intervento è proprio direttamente sui bambini, perché essi siano i primi ad accorgersi quando un’attenzione debba essere ritenuta sgradita, anche se proviene da una persona che il bambino, fino a quel momento, aveva considerato “di fiducia” e potrebbe persino trattarsi della mamma o del papà. Pensate però cosa significhi, per un bambino, fare i conti con il concetto che l’origine della sua sofferenza sia proprio la sua mamma o il suo papà: significa pensare che chi ti ha donato la cosa più grande, cioè la vita, sia anche chi te la sta rovinando! Se non si possono fidare più della mamma e del papà, di chi fidarsi? È evidente con questi semplici interrogativi che il solo interrompere la catena di sofferenza non sia sufficiente a risolvere il problema. Affrontare la pedofilia in famiglia è esso stesso motivo di frattura psicologia con gli altri componenti, per cui la vittima richiede di essere supportata ed assistita.
C’è poi il problema dei neonati, però, che l’associazione Meter rileva come vittime in crescita. Il bambino che ancora non sa parlare è la vittima più facile, perché più indifesa ed incapace di richiedere aiuto. In questi casi, è la coscienza rettamente formata di chi sta intorno, unita ad un’informazione capillare sull’argomento e ad una discreta preparazione, che possono fare la differenza. Considerando che i danni sono inenarrabili, qui, più che in ogni altro ambito, “prevenire è meglio che curare”.
Dopo esperienze simili, infatti, si può dire che “niente torna come prima”. Non è tanto la violenza in sé a creare danno; talvolta, anzi, il pedofilo riesce a convincere il bambino con la semplice forza della persuasione e la sua autorità di adulto. È una ferita nell’autostima, nella fiducia, nelle relazioni interpersonali. È una ferita, per l’appunto, intima. Colpisce l’interiorità, il sé più profondo: per questo, quando anche avviene, la ricostruzione è lenta, dolorosa e richiede sempre l’accompagnamento di fiducia e pazienza. Un bambino abusato è una persona segnata dalla cicatrice di una ferita, di cui non è sempre consapevole, ma che spesso la condiziona per tutta l’esistenza, o, almeno, buona parte di essa.
Problemi di autostima, di fiducia e nelle relazioni, come accennato in precedenza. Non solo. spesso si trascinano, anche in età adulta, problemi legati all’insonnia, ad incubi ricorrenti, inoltre spesso, questi soggetti tendono a soffrire di disturbo borderline di personalità, depressione, disturbi alimentari e dipendenze. molto spesso, è sviluppato il disturbo post- traumatico (lo stesso causato da guerra e catastrofi naturali, oltre che dallo stupro), perché la vittima vede a rischio al propria incolumità fisica. Per il bambino, poi, sono eventi traumatici, dal punto di vista sessuale, tutte le esperienze inadeguate rispetto al suo sviluppo, indipendentemente dalla presenza di violenza, reale o minacciata. Spesso, sviluppano un atteggiamento oppositivo e strafottente, proprio quale reazione al dolore e illusione di onnipotenza nella ricerca di una distanza affettiva da tutti. Tutti questi comportamenti, inutile dirlo, prendono piede soprattutto nel periodo, già di per sé “esplosivo” dell’adolescenza, momento di conoscenza di sé in cui noi tutti siamo chiamati a far pace con il passato. Questi ragazzi non ne sono esclusi, anzi: avendo un passato più ingombrante della norma, i loro conti saranno particolarmente fragorosi e impegnativi da gestire per gli educatori.
Non è terrorismo psicologico, purtroppo, ma semplice realismo. Perché questa è la realtà che vive chi subisce abusi.
Ma basta molto meno per ferire un bambino. Citando il film “Un sogno per domani”, «basterà che non lo ami». Non essere amati è la tragedia più grave, per un bambino. Quello che impara, durante tutta l’infanzia, è amare. Impara ad amare dal modo in cui è amato: per questo qualunque tipo di abuso afferisce alla sfera dell’affettività, perché inibisce, nel bambino, la possibilità e la capacità di comprendere l’amore («L’amore non è una cosa che si può insegnare, ma è la cosa più importante da imparare», ebbe modo di affermare Giovanni Paolo II).
Studi psicologici annotano, del resto, come, ad esempio, il divorzio dei genitori sia, per il bambino, persino più traumatico della morte di uno di essi. Non è così difficile capirlo, a ben pensarci. È la nostra società (malata) che vuole escludere la morte dal nostro orizzonte. Pur magari non avendo gli strumenti per comprenderla, il bambino, però, percepisce che fa parte del suo orizzonte. E, pur con fatica, fa in modo di accettarla. Un divorzio è più grave perché implica la frattura dell’unità familiare e l’incrinatura delle sue certezze affettive. Non di rado, poi, si sente responsabile in prima persona dell’accaduto, oltre a domandarsi se i genitori, che dicono di avere smesso di amarsi, possano un giorno smettere di amare lui. Un dubbio simile, per un bambino, è atroce. Perché, in profondità, significa non essere sicuri di essere meritevoli d’amore.
Non è semplice retorica, ma la cruda realtà. I bambini di oggi sono il futuro di domani. Il nostro futuro. Ecco perché proteggere i bambini è salvaguardare il futuro: i loro sogni di oggi sono i progetti di domani!


Per un approfondimento

Il Tempo

Psicologobambinitorino

Famiglia Cristiana

Associazione Meter

Prima che venga buio

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