C’è la nebbia su piazza san Pietro. Non è, però, la “nebbia in val Padana”: è la nebbia che cala per costringere il cuore a sentir ciò che l’occhio umano non vede. Non vuole vedere, o non permette a ciò che ha veduto di essere creduto. A salutare Giovanni Paolo II c’era il vento: a sparigliare le ipotesi, a fare rigirare velocemente le pagine del Vangelo, a spettinare i capelli composti d’una Chiesa in preda all’incertezza. A dare l’ultimo saluto a Joseph Ratzinger, papa emerito, c’è stata la nebbia che ha reso incerti i confini del colonnato di Bernini, quasi ti impediva di vedere la borsa poggiata a terra, che con difficoltà, all’alba, lasciava indovinare i lineamenti dell’uomo seduto accanto. Una nebbia che, stamane, è diventata la cifra di un arrivederci: anche il Mistero, quello che ogni Papa canta con il suo accento, viaggia a pochi metri dal nostro naso. È addirittura pronto ad accompagnarci nell’Eternità, promettendocela. Ma noi, difettosi di occhi, non ce ne accorgiano nemmeno. In piazza san Pietro, stamattina, la nebbia è salita in cattedra e ha impartito la sua lezione: “Puoi chiudere gli occhi e camminare alla cieca. Oppure poi imparare a vederci meglio”. D’altronde, perchè ostinarci nella maledizione della nebbia se ormai ci è passata la voglia di guardarci attorno, di guardarci negli occhi? D’allenarci ad intercettare passi e passaggi di uno Spirito che abita le trame del nostro quotidiano? “Troppo sole sfianca!” avrà pensato il Cielo. Troppo sole crea frenesia. “Troverete un Mistero, avvolto nella nebbia, e nascosto in mezzo a vo: decifratelo!” Perchè, quando c’è nebbia, viene voglia di chiudere le finestre e reinnamorarsi di ciò che sta dentro casa, piuttosto che spalancare le finestre e veder solo delle tende di grigio. E dentro la nostra casa, la Chiesa, c’è del bello in azione, in agitazione: «Per cos’altro dovrebbe esserci la Chiesa se non per diventare l’abitazione di Dio nel mondo?» (J. Ratzinger).

Celebrare le esequie di Pietro – qualunque sia il nome che lui si sceglie – è anche celebrare un po’ le esequie di una parte di noi, della nostra storia, di un pezzetto di vita. Perchè un Papa, per il semplice gesto di accompagnarci nella nostra personalissima ricerca del volto di Dio, diventa quasi un vicino di casa, un familiare, uno col quale senti di spartire più cose di quelle che immagini. Un Papa che muore è un pezzo di storia che se ne va, che abbassa le serrande, che ammaina la bandiera. Che uno creda oppure no, un pontificato segna (e detta) il tempo che spietatamente, inesorabilmente passa. Si è respirato a pieni polmoni nel silenzio attonito di una piazza orante, inginocchiata ma non piegata, perchè chi impara a credere impara ad inginocchiarsi: il cielo non appartiene alla geografia dello spazio ma del cuore. Seppellire un Papa è fare i conti con le nostre operazioni matematiche – l’addizione, la sottrazione, la moltiplicazione, la divisione – e avvertire, al tempo stesso, che i conti non torneranno mai: «I conti sull’uomo, senza Dio, non tornano. I conti sul mondo, su tutto l’universo, senza di Lui non tornano» (J. Ratzinger). Perchè pensare di misurare un Papa è voler sfidare il Cielo: ci sarà sempre un oltre, un altrove, un’eccedenza che fa fallire il conteggio. Perchè Pietro non è solo un uomo, è un uomo di Dio, dove il genitivo fa la differenza: “Tu mi appartieni”. Con tutto ciò che quest’appartenenza dona e vieta all’intelligenza dell’uomo. Di qualunque umano che s’affacci sulla terra.

Ad accompagnarci nella sepoltura è la lingua della liturgia: non soltanto un fatto decorativo, un orpello stilistico, ma il tratto caratteristico stesso di Dio, visto che la liturgia non è azione dell’uomo ma di Dio. La nebbia della liturgia di oggi: l’incertezza che affascina, il mistero che rende le cose meravigliose. Il sospetto di non riuscire a capire (o di non volere capire), avvolti nella nebbia, alcuni passi dello Spirito: quelli inediti, scomodi, frustranti. Ma chi crede non sarà mai solo: né in vita né in morte. È per questo che nell’arrivederci ad ogni Pietro che se ne va, c’è un arrivederci a noi stessi. A quella parte di noi ch’è ancora cieca. O che, proprio, non vuol vedere e, proprio per questo, invoca misericordia. Pietà.

2 risposte

  1. Il Vento dello Spirito Santo è passato, benvenuta nebbia che ci lasci nell’attesa dell’incontro con la Luce che illuminerà i nostri cuori, la nostra mente e finalmente la nostra anima vedrà Il Volto del Creatore, intanto Pace in terra agli uomini che Egli ama, se ci lasciamo accompagnare dalla Stella che ha guidato l’umanità da Betlemme fino ad oggi.

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