In pieno agosto il Papa ha convocato un concistoro. Nel mezzo di un sinodo che, in sordina, ha appeso sulle facciate delle delle chiese la scritta delle imprese edili: “Lavori in corso”. Il cuore di Pietro è febbrile: c’è una credibilità da recuperare, costi quel che costi: con grandi manovre, come l’assestamento del collegio cardinalizio, o con piccolissime manovre, come le discussioni in atto sul futuro della Chiesa. La parola d’ordine sembra essere sempre la stessa che il Papa ritma: “vicinanza”. Quanto rompa questa vicinanza n’è prova Francesco, il Papa senza quella dannata distanza di sicurezza: “E’ facile essere coraggiosi a distanza di sicurezza” sembra rispondere a chi lo accusa di essere troppo vicino alla gente, di non indossare più scarpe rosse, di uscire di nascosto invece che sulla sedia gestatoria. Lo guardi mentre si muove, prega, agisce e ti stupisci di come gli riesca di rendere semplice la cosa più difficile: l’esserci, a prescindere.
Senza distanza di sicurezza è una postura un po’ scomoda per una certa Chiesa. Soprattutto quando si tratta di ascoltare! (S)comoda per chi ascolta: la gente non ascolta, aspetta soltanto il suo turno per parlare. Scomoda anche per colui al quale si presta ascolto: “Da quanto tempo uno non mi ascoltava!” Già all’inizio del pontificato il Papa aveva gettato l’amo: “ Troppo facile dare risposte a domande che nessuno si pone” scrisse nella Evangelii gaudium. Un fendente, nel suo stile. Un modo cordiale per dire: “Vi accorgete che stiamo diventando un’enclave nella quale, se uno viene da fuori, non capisce più di cosa stiamo parlando?” L’invito pare caduto nel vuoto: le solite risposte alle stesse domande che nessuno si fa. Suoni rachitici che non fanno più vibrare il cuore della gente.
Tra cristiani è facile raccontarsela. La sfida, però, è un’altra: ascoltare da chi vive “fuori” che cosa traspare di noi. Abbiam perso gente per strada: siamo noi ad aver perduto loro, non il (comodo) contrario. Persi nel modo più elegante: facendoli sentire stranieri a casa propria, pensando che dove c’è una qualche fatica di vivere lì ci sia una resistenza allo Spirito. “Lavori in corso”, insomma: perchè la Chiesa torni ad essere casa. Il luogo dove puoi (ri)entrare un sacco di volte senza doverti truccare, sentirti fare milioni di domande. Il luogo nel quale l’interrogatorio su cos’hai fatto-non-fatto sotto le lenzuola, perchè non ti sei comportato in un altro modo lascia spazio ad una porta socchiusa, ad una sedia preparata h24, ad un bicchiere d’acqua per allungare la minestra sul fuoco.
(M. Pozza, “Specchio” de La Stampa, 28 agosto 2022)